Gli occhi di Josefa non sono più sbarrati e imploranti. Ora ha i capelli raccolti a mo' di turbante e una maglietta grigia con la scritta 'Open arms', la stessa delle persone che la circondano. Ma lo sguardo sembra lontano. La foto, con la donna camerunense al centro, immortala lo sbarco a Palma di Maiorca dell’equipaggio della nave Open Arms, della ong catalana Proactiva Open Arms. Sono loro ad averla strappata al mare al largo della Libia dopo due giorni alla deriva, accanto a un’altra donna e un bambino morti. Ma appena toccata terra, la ong passa all’attacco e denuncia Libia e Italia per omissione di soccorso e omicidio colposo.
Il Viminale, pronto a denunciare a sua volta «chi mente», si smarca dalle accuse: «Se la ong spagnola ha preferito rifiutare l'approdo in Italia per scappare altrove, è un problema suo. I porti siciliani erano aperti anche per accogliere i cadaveri a bordo».
Un’altra imbarcazione di volontari che soccorre migranti, quindi, prende il largo dall’Italia, dopo il 'no' del ministro degli Interni Matteo Salvini ad attraccare e la scelta della Spagna come 'opzione b' perché «non ci fidiamo di Salvini», aveva spiegato la ong. Verso le 9 la nave è entrata al porto di Maiorca. A bordo, due cadaveri e una sopravvissuta. Josefa, che ha 40 anni ma capelli e viso ne dimostrano di più, sarebbe pronta a denunciare anche lei l’Italia e la Libia per non averla soccorsa lasciandola in mare e per averle negato il porto più vicino. Questa la versione della Proactiva e così riporta il quotidiano Diario de Mallorca.
«Qualcuno strumentalizza una vittima per fini politici», è la replica del ministero di Salvini pronto a denunciare «chi, con bugie e falsità, mette in dubbio l’immensa opera di salvataggio e accoglienza svolta dall’Italia». Su Twitter, la sponda del ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli: «Open Arms sbaglia obiettivo. Italia è esempio nel Mediterraneo per umanità ed efficienza soccorsi».
Interviene anche la Guardia costiera, chiamata in causa dal fondatore della Proactiva Oscar Camps che spera in un’indagine della procura spagnola nei confronti della Guardia costiera italiana e libica: «Non siamo mai stati coinvolti nel soccorso al gommone ritrovato successivamente», chiariscono dal comando generale a Roma. E ricordano: «Dopo il ritrovamento è stata data piena disponibilità a trasferire la donna ancora in vita (cioè Josefa) in Italia». Idem per «il porto di Catania, dove sarebbero state effettuate le operazioni di sbarco per tutti i migranti a bordo», conclude la Guardia costiera.
A un certo punto per evitare forse un piccolo incidente diplomatico, la portavoce del governo delle Baleari Pilar Costa invoca «rispetto e prudenza per il dramma umano vissuto da Josefa». Per lei dopo una notte in ospedale, il nuovo «porto sicuro» dovrebbe essere il convento di Son Rapinya dove sono anche i rifugiati della Aquarius, accolti a Valencia dopo giorni di tira e molla.
Nomi di nave diversi, stessa avventura finita anche stavolta con un porto italiano chiuso. «Non vedranno più l’Italia se non in cartolina», aveva detto il vicepremier leghista ai responsabili di Proactiva. Gli spagnoli non hanno dimenticato la battuta spedendo oggi a Salvini, via Twitter, una cartolina dell’isola. «Ogni promessa è debito», firmato Josefa e Oscar Camps.
A far scattare il braccio di ferro era stata la denuncia fatta dall’organizzazione non governativa il 17 luglio, che la Libia avrebbe lasciato morire una donna e un bambino che erano su un gommone in difficoltà ma «non volevano salire sulle motovedette». Ma soprattutto le foto, pubblicate sui social, dei due cadaveri e del salvataggio di Josefa: tra le braccia dei soccorritori con gli occhi sbarrati e fissi, come se fosse morta anche lei.
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