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Condannato per crimini di guerra, ex generale croato beve veleno e si uccide in diretta tv

ZAGABRIA. Drammatico suicidio in diretta tv oggi nell'ultima udienza pubblica del Tribunale penale internazionale dell'Aja (Tpi), dove il criminale di guerra croato-bosniaco Slobodan Praljak, alla conferma della condanna in appello, ha bevuto del veleno, morendo poco dopo in ospedale.

A una settimana dalla condanna all'ergastolo del 'Boia di Srebrenica' Ratko Mladic il Tpi, chiamato a giudicare crimini e atrocità delle guerre nella ex Jugoslavia, per ironia della sorte ha chiuso in maniera ugualmente drammatica la sua attività cominciata nel 1993 e che si concluderà formalmente il mese prossimo. "Slobodan Praljak non è un criminale di guerra e con sdegno respingo la sentenza". Queste le ultime parole dell'ex generale croato, pronunciate subito dopo la conferma della condanna a vent'anni di carcere per crimini di guerra commessi in Bosnia.

Praljak ha poi bevuto una bottiglietta di veleno, che durante la lettura della sentenza teneva nascosta tra le mani, ed è deceduto poche ore dopo in un ospedale della città olandese. Il gesto estremo, plateale e in diretta tv dell'ex generale - condannato per crimini contro l'umanità, pulizia etnica di musulmani bosniaci, uccisioni e torture - ha messo in secondo piano il pur importante verdetto contro di lui e altri cinque alti politici e ufficiali croati di Bosnia.

Praljak, nato 72 anni fa in Bosnia-Erzegovina, aveva tre lauree - in filosofia, elettrotecnica e regia - era scrittore e si occupava di teatro e cinematografia. Cosa questa che spiega forse la sua decisione così 'teatrale' di oggi.

Nei primi anni Novanta era stato tra i fondatori dell'Unione democratica croata (Hdz, nazionalisti) guidata dall'ex presidente della Croazia Franjo Tudjman, e nel 1993 comandante delle forze militari dei croati di Bosnia. Da molti croati è considerato un eroe, ma la sua triste fama è legata in primo luogo all'ordine da lui dato nel novembre 1993, insieme ad altri comandanti militari, di distruggere lo Stari Most, il Vecchio Ponte di Mostar, simbolo della città dell'Erzegovina e perla architettonica del Cinquecento, risalente al periodo ottomano, che è sotto protezione dell'Unesco.

I giudici del Tpi tuttavia hanno spiegato che, a differenza del verdetto di primo grado del 2013, lo Stari Most distrutto andava considerato un legittimo obiettivo militare. Oltre a quella per Praljak, il Tpi ha confermato in seconda istanza le condanne per crimini di guerra per altri cinque alti esponenti politici e militari croato-bosniaci, che dal 1992 al 1995 guidarono l'autoproclamata entità parastatale della Herceg-Bosna, parte del Paese a maggioranza croata.

Jadranko Prilc e Bruno Stojic, rispettivamente ex premier ed ex ministro della Difesa della Herceg Bosna, e gli altri quattro, sono stati condannati in totale a 111 anni per reati contro l'umanità e in particolare per pulizia etnica con il ruolo svolto nella deportazione dei musulmani bosniaci.

I giudici hanno anche confermato che i croati di Bosnia avevano formato una organizzazione con l'obiettivo di "creare un'entità (statale) croata" in Bosnia-Erzegovina. Questa entità si sarebbe poi potuta "unire alla Croazia" o rimanere in "stretta associazione" con Zagabria. All'organizzazione criminale parteciparono e contribuirono dall'esterno anche Franjo Tudjman, al tempo presidente della Croazia, e Gojko Susak, ministro della Difesa. A Zagabria tutte le forze politiche e il premier conservatore Andrej Plenkovic hanno definito "ingiusta" la sentenza, respingendo il ruolo negativo della Croazia nel conflitto bosniaco.

"Il gesto estremo di Praljak testimonierà per sempre l'ingiustizia del Tribunale nei confronti del generale e degli altri croati di Bosnia", ha detto Plenkovic, che ha annunciato ricorso contro la sentenza d'appello.

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