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Catalogna nel caos, Puigdemont non convoca le elezioni

Il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont

BARCELLONA. Una giornata da infarto nell'infinita crisi catalana, che ora si avvicina alla resa dei conti finale con la probabile proclamazione domani in parlamento della 'Repubblica' e la parallela attivazione al Senato spagnolo del commissariamento della regione ribelle da parte di Madrid.

Dopo ore di suspense e diversi colpi di scena, il presidente Carles Puigdemont ha annunciato questo pomeriggio di aver rinunciato a convocare elezioni anticipate dopo che Madrid ha ritirato l'offerta di fermare in cambio 'l'arma atomica' dell'articolo 155 della Costituzione, lasciando al Parlamento catalano domani la scelta se proclamare o meno la secessione. Barcellona ha vissuto una giornata di caos.

I catalani si sono addormentati pensando che Puigdemont oggi avrebbe dichiarato l'indipendenza. Si sono svegliati in un quadro diametralmente opposto. Dopo una tempestosa riunione notturna di 7 ore del governo, che si è spaccato, Puigdemont ha operato un cambio di rotta a 180 gradi. Ha fatto sapere che avrebbe convocato elezioni anticipate il 20 dicembre, rinunciando alla dichiarazione di indipendenza in cambio di una rinuncia da parte del premier spagnolo Mariano Rajoy a usare l'articolo 155 contro la Catalogna. Uno spettacolare voltafaccia propiziato nell'ombra da mediazioni parallele con Madrid del presidente basco Inigo Urkullu e del leader socialista catalano Miquel Iceta.

Alle 13.30 viene annunciata una dichiarazione solenne di Puigdemont sulle elezioni, poi rinviata alle 14.30, quindi alle 17. Qualcosa però nel frattempo è andato storto. Rajoy non ha confermato l'accordo negoziato con Urkullu, elezioni e niente dichiarazione di indipendenza in cambio di uno stop alla sospensione dell'autonomia e all'azzeramento delle istituzioni catalane. La destra del Pp del premier si è opposta.

Nell'altro campo si scatena la protesta del fronte indipendentista, convinto che oggi il President avrebbe dichiarato l'indipendenza. Il partito di sinistra Erc del vicepresidente Oriol Junqueras minaccia di uscire dal Govern, facendolo cadere. Due deputati indipendentisti si dimettono. Gli studenti in sciopero in Piazza Sant Jaume gridano "Puigdemont traditore!". Il tentativo di mediazione passa attraverso una tempesta di telefonate e sms fra Barcellona e Madrid, per capire se Rajoy conferma lo stop al 155 in cambio del voto anticipato.

Alle 17 finalmente Puigdemont parla. E annuncia che non convoca le elezioni. Conferma di averci pensato per salvare l'autogoverno catalano dalla liquidazione ma da Madrid, denuncia, "non sono arrivate le garanzie necessarie". Lasciando nelle mani del Parlament la decisione se proclamare o meno la Repubblica. A questo punto, salvo nuovi colpi di scena nella notte, la maggioranza assoluta indipendentista dovrebbe votare la dichiarazione di indipendenza, facendo entrare la Catalogna in terra ignota. Al Senato di Madrid la vicepremier Soraya de Santamaria nel pomeriggio ha confermato la richiesta di attivazione del 155 in nome dell' "interesse generale della Spagna".

Domani mattina i senatori voteranno i pieni poteri in Catalogna al premier. Che potrà usarli da sabato. Rajoy ha annunciato che destituirà Puigdemont e i suoi ministri, prenderà il controllo di Mossos, radio-tv, fisco e amministrazione, e convocherà elezioni entro 6 mesi. Domenica la Catalogna sarà senza governo. O con due governi paralleli. Puigdemont potrebbe non accettare il colpo di forza spagnolo, trincerarsi a Palazzo della Generalità circondato da decine di migliaia di manifestanti, con i suoi ministri. "Il governo è consapevole delle enormi difficoltà che lo aspettano - scrive El Mundo - alcune sono inimmaginabili".

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