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Brexit, la May: "Avremo l'accordo ma siamo pronti a tutto"

LONDRA. Rinnovare il «british dream» in vista di un dopo Brexit aperto a «ogni evenienza». Theresa May, impantanata fra mille difficoltà, prova a lanciare il cuore oltre l’ostacolo alla conferenza annuale Tory di Manchester, ma l'irruzione d’un 'disturbatorè e una tosse dispettosa non l'aiutano. E quello che avrebbe dovuto essere il suo discorso più appassionato alla platea di partito si trasforma in un calvario portato a termine a fatica, con voce strozzata, sino al colpo finale della malasorte: il crollo di due lettere dello slogan inserito nella scenografia del palco.

Se in politica i segni contano, la premier conservatrice britannica non ha che da prenderne atto. Il destino - prima ancora che l’ambizione dei suoi potenziali rivali interni, schierati tutti in prima fila - sembra averla presa di mira.  Ma lei, coriacea (c'é chi dice legnosa) figlia di un reverendo, fa sapere di non aver alcuna intenzione di mollare: almeno finché non vi sarà costretta. E traccia il suo manifesto bis, un anno e mezzo dopo lo sbarco a Downing Street. Improntato alla difesa del «libero mercato» - in contrapposizione alla sfida del risorgente Labour di Jeremy Corbyn, evocato alla stregua del 'pericolo rossò d’antica memoria -, ma d’un mercato "regolato» nel nome di un conservatorismo sociale in grado di allargare lo sguardo agli esclusi della «ripresa economica» e di togliere «alla sinistra il monopolio della compassione».

Al suo polso sfavilla un bracciale non proprio di stile thatcheriano sul quale qualcuno scorge i tratti d’un disegno di Frida Kahlo, pittrice comunista ammaliata da Trotsky. E lady Theresa proietta la visione di un Regno Unito più equo, con più "opportunità per tutti». Un Paese che ambisce a un ruolo addirittura di «leadership morale» nel mondo, ma soprattutto si guarda dentro. May difende i risultati degli ultimi governi conservatori. Eppure ammette che non bastano e si scusa per aver sbagliato nella campagna elettorale di giugno, per non aver saputo ripulire la patina del «partito della continuità» mentre "gli elettori chiedevano cambiamento». «Per troppi il sogno britannico é diventato irraggiungibile», rimarca.

Fra gli annunci di rito, arriva la promessa di una «nuova generazione di case popolari», con 2 miliardi di sterline per finanziare «alloggi sostenibili» oltre al già previsto piano casa pluriennale da 10 miliardi. Senza tralasciare l’impegno a imporre un tetto sulle bollette dell’energia e a rivedere il Mental Health Act per dare più assistenza ai malati psichici.  Certo, c'é da unire in primo luogo un partito nel quale la sua debolezza alimenta le litigiose impazienze altrui: da quelle dello straripante Boris Johnson, aedo dei brexiteers, a quelle dei 'pragmaticì Philip Hammond o Amber Rudd. Sulla Brexit la premier dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Dicendosi certa (a beneficio delle colombe) che un’intesa con Bruxelles sarà raggiunta e sollecitando anzi il team negoziale ad «affrettarsi" a chiudere i capitoli preliminari su diritti dei cittadini Ue, confine irlandese e obblighi finanziari. Ma rassicurando i falchi d’essere pronta a far fronte a «ogni evenienza», ossia a un divorzio senza accordo se l’Ue puntasse al muro contro muro.

L’importante, insiste May rivolgendosi ai colleghi di governo, é «stringere le file, andare avanti insieme, fare il nostro dovere per la Gran Bretagna». «Non è mai stato nel mio stile - avverte subito dopo - nascondermi di fronte a una sfida, ritirarmi di fronte alle difficoltà, arrendermi e scappare».
La raucedine tuttavia non dà tregua e ingoia i suoi proclami; mentre a prenderla in giro spunta il comico Lee Nelson, capace di sgattaiolare fin sotto il podio in barba alla sicurezza per consegnarle un modulo di licenziamento-beffa firmato Boris Johnson. Alla fine gli applausi del popolo Tory sembrano più che altro di sollievo: quasi da onore delle armi.

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