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Siria, nuove tensioni tra Russia e Usa: diplomazia a rischio

Foto Ansa

 BEIRUT. Gli Stati Uniti, di fronte al fallimento del cessate il fuoco in Siria, stanno discutendo e valutando anche «opzioni non diplomatiche». Le parole del portavoce del Dipartimento di Stato Usa arrivano al termine di una giornata molto tesa sia sul fronte diplomatico, sia sul terreno.

Le forze governative siriane, sostenute dall'aviazione russa, da militari iraniani e dagli Hezbollah libanesi, si preparano a un'offensiva di terra senza precedenti contro Aleppo est, da venerdì scorso martellata da intensi bombardamenti aerei che hanno causato l'uccisione di centinaia di persone, tra cui circa 100 minori, secondo l'Unicef.

Tanto che gli Usa, tramite il segretario di Stato John Kerry, in mattinata hanno minacciano di interrompere i contatti con la Russia sulla Siria se non si fermeranno i bombardamenti sulla città. E poi in serata hanno deciso di mettere in campo anche la possibilità di «opzioni non diplomatiche». Ma la gravità degli eventi è data soprattutto dalle dichiarazioni del Papa, che si è rivolto a chi bombarda Aleppo est - la Russia e il governo siriano - senza nominarli in maniera esplicita. Il pontefice ha rinnovato «a tutti l'appello ad impegnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo e urgente, e alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti, che dovranno dare conto davanti a Dio».

Le immagini provenienti da Aleppo est sono agghiaccianti: corpi di civili, tra cui bambini, senza vita tirati fuori dalle macerie, altri corpi intrappolati e senza vita, altri ancora maciullati e raccolti a pezzi dai volontari della Protezione civile.  L'Unicef, che ieri aveva lanciato l'allarme di circa 100mila bambini costretti a bere acqua contaminata, oggi ha ricordato che «i bambini di Aleppo sono intrappolati in un incubo». L'agenzia Onu ha riferito che «almeno 96 bambini sono stati uccisi e 223 sono rimasti feriti ad Aleppo est da venerdì». Citato dall'Unicef, un medico ha detto che «i piccoli con basse probabilità di sopravvivenza sono spesso lasciati morire a causa di forniture mediche limitate».

Anche per questo il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, dopo i raid di oggi che hanno colpito due ospedali e un gruppo di persone in fila per la distribuzione del pane, ha ribadito che «colpire gli ospedali è un crimine di guerra». Mosca ha respinto ogni responsabilità sul raid.  Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, unendosi alle preoccupazioni del collega americano John Kerry, non ha escluso che i rapporti con Mosca possano subire una brusca rottura.  «Ancora mi auguro che la Russia collabori per far smettere Bashar al Assad nel suo atteggiamento di massacrare il suo popolo. Se non lo farà - ha detto Gentiloni - credo che sarà inevitabile una rottura drammatica a livello diplomatico internazionale».

Gentiloni ha ricordato che ad Aleppo rimangono circa 300mila civili accanto a «forse 15mila combattenti delle opposizioni». La città «è martellata da settimane e settimane - ha proseguito il ministro - non puoi distruggere una zona di una città con 300mila persone, non si capisce neanche quale sia l'obiettivo tranne la barbarie. Non stanno combattendo contro obiettivi militari, ma contro la città». Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov ha difeso la posizione di Mosca affermando che i miliziani detti «moderati» e filo-Usa si stanno radicalizzando e si stanno unendo ai qaidisti.

Fonti contattate dall'Ansa ad Aleppo ovest e a Idlib ricordano che in un contesto di prolungata violenza commessa su Aleppo est da Damasco e dai suoi alleati, e senza una concreta forma di protezione internazionale ai civili, è comprensibile che numerosi miliziani delle opposizioni, ad Aleppo est e altrove, finiscano per radicalizzarsi.  Accanto al dramma siriano si consuma quello di Mosul, in Iraq, dove circa un milione di civili rimangono sotto il controllo dell'Isis. E nel quadro della tanto attesa offensiva militare anti-Stato islamico, gli Usa hanno annunciato l'invio in Iraq di altri 600 militari pronti a unirsi alle truppe già presenti nel Paese.

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