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Rifugiato siriano si fa esplodere in Germania: l'Isis rivendica

BERLINO.  Ad Ansbach, una cittadina di provincia vicino Norimberga, l'Isis colpisce per la prima volta in Germania. Mohammed Delel, un rifugiato siriano di 27 anni cui era stata rigettata dalle autorità tedesche la domanda di asilo, prova a fare esplodere un ordigno artigianale ad un concerto serale cui in una calda sera d'estate assistevano 2.500 persone.

Poteva essere una strage, visto che quella bomba era, sì, fatta in casa, ma con tutti i crismi per lasciare decine di persone sul terreno. Qualcosa però va storto: il siriano, che aveva avuto problemi di droga, soffriva di malattie psichiche e viveva ad Ansbach neanche tanto «alla macchia» (stava in un centro per rifugiati) malgrado un foglio di via, non ha il biglietto per entrare. Lo zainetto con il suo carico di morte salta in aria all'ingresso, non si sa se volutamente o meno, uccidendo lui e ferendo quindici persone, di cui quattro gravemente.

La bomba di Ansbach chiude il «weekend nero» della Germania del sud che ha visto ben due giovani, rifugiati e siriani sui suoi tre protagonisti in negativo. E la solita rivendicazione online da parte dello stato islamico mette davanti i tedeschi ad una realtà che avevano sempre sperato di scongiurare: di essere essere stati colpiti in patria dall'Isis da un «soldato» che ha «risposto alla chiamata» del califfato.  Malgrado Berlino freni, con la Cancelleria preoccupata di un via alla 'caccia alle streghe' verso i rifugiati che con la crisi la Germania ha accolto, destinando una decina di miliardi per l'integrazione, le autorità della Baviera parlano subito di un atto di terrorismo islamico.

In effetti, gli oggetti trovati addosso all'attentatore e nel centro rifugiati dove viveva e lo ricordavano come «uno gentile e cordiale» lasciano poco adito a dubbi: quantomeno sul fatto che si trattasse di un soggetto altamente radicalizzato, se non di più. L'attentatore, forse finito kamikaze ad Ansbach per caso, aveva fatto ricorso avverso alla sua espulsione adducendo come motivazione i suoi problemi psichici; espulsione rinnovata il 13 luglio e mai eseguita.

Il rifugiato da Aleppo che portava sul corpo delle ferite di guerra, aveva con sè due telefoni cellulari (forse doveva usarne uno per innescare il suo ordigno a distanza) pieni di chat e video dal contenuto «islamista e salafita»: in uno minaccia un attacco nel nome di Allah e giura fedeltà all'Isis. Ha anche diverse schede sim, ben sei profili facebook ed un pc portatile pieno di video violenti. E soprattutto, ha a disposizione tutto quello che serve per costruire bombe artigianali ma per questo non meno letali di quelle tradizionali: dagli acidi ai bulloni necessari per aumentare la dirompenza dell'esplosione.

Gli inquirenti scandagliano i movimenti e le comunicazioni dell'attentatore negli ultimi tempi per capire se, come si sospetta, possa avere avuto contatti con altri complici o appartenga ad una organizzazione complessa piuttosto che essere un 'lupo solitariò come invece era il rifugiato minorenne che a Wuerzburg ha preso a colpi di accetta i passeggeri di un treno. «Siamo solo all'inizio», dice un portavoce della Polizia bavarese che si rende perfettamente conto di come nella sua Regione e in tutto il suo Paese il clima sia cambiato.

Una domanda arriva sostanzialmente uguale da tutte le televisioni e dai siti di tutti i media tedeschi: «Siamo ancora sicuri?» Intanto, a Monaco viene arrestato un sedicenne afghano amico del giovane assassino che, muovendosi come un un videogame di guerra, venerdì seminò morte e terrore in un centro commerciale  prima di ammazzarsi. Pure l'afghano venerava Breivik ed aveva problemi psichici come il killer, che aveva conosciuto in un ospedale psichiatrico. Il ragazzo è stato poi rilasciato, anche se resta sotto indagine per non avere informato le autorità del piano omicida.

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