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Risso: «Negli italiani raddoppiata la paura di stragi dell’Isis»

«Dal settembre dello scorso anno a oggi, è quasi raddoppiata la paura degli italiani per la minaccia terroristica. Questo tema, che era praticamente sparito dell'agenda politica, è tornato al centro del dibattito soprattutto dopo la strage del Bataclan a Parigi». Enzo Risso, direttore scientifico dell'istituto «Swg», commenta così uno dei dati più rilevanti emersi da uno studio condotto dalla sua società di ricerche sull'incubo jihadista: «Il 72 per cento - spiega l'esperto di statistica - dice di avere molta o abbastanza paura dell'Isis, il 22 poca, solo il 6 risponde: nessuna. Interessante, poi, notare come il 42 per cento degli intervistati affermi che il principale obiettivo dell'Isis è far vivere gli europei in una condizione di costante terrore e indebolirci economicamente».

Siamo destinati a convivere con lo spettro di bombe umane e tagliagole. Come cambiano le nostre abitudini, il nostro stile di vita?
«Un terzo degli italiani si sente limitato nelle proprie libertà. Se proprio non è necessario, non prende l'aereo e tende a stare rinchiuso. Il comportamento quotidiano cambia, ma non così tanto che le persone rinunciano del tutto a uscire e muoversi. Insomma, siamo molto lontani da una situazione di coprifuoco. Aumentano, però, i timori. Ad esempio, a recarsi all'aeroporto».

Swg ha anche chiesto a un campione di intervistati da quali attentati siano stati colpiti, impressionati, di più. Sorpreso che la strage di cristiani avvenuta a Pasqua in Pakistan preceda, con ben diciassette punti di distacco, l'attacco del 22 marzo a Bruxelles?
«No, proprio perchè quell'attentato è avvenuto in un giorno di festa quando le famiglie sono più spensierate. Nell'opinione pubblica, inoltre, si sta affermando uno sguardo più globale. Fino a poco tempo fa, non interessava a nessuno quanto avveniva in Medio Oriente. Questo è ancora vero, ma solo in parte perchè comincia a farsi largo la consapevolezza che gli attentatori da lì possono venire qua».

Una tragica classifica. Al primo posto, il massacro del 13 novembre a Parigi. Perchè questo episodio più di altri ha lasciato il segno?
«Perchè al Bataclan è stata colpita l'idea stessa di spensieratezza e libertà, serenità e convivialità, delle persone. Soprattutto, dei giovani che stavano ballando e divertendosi quando è avvenuta la strage. Se vuole, i cittadini sanno che andare in metropolitana o in aeroporto può costituire un rischio. Impressiona, invece, che possa avvenire un attentato anche per strada o in luoghi dove la gente fa festa. È il cosiddetto "lock-serenity", cioè mettere un lucchetto alla serenità».

Si fa un gran parlare di "scontro di civiltà". Crescono i sentimenti anti-islamici nel nostro Paese?
«Interessante notare come, dopo un periodo in cui sono cresciuti i sentimenti anti-islamici, gli attentati in Pakistan e Belgio abbiano cominciato a fare scivolare l'attenzione sul fenomeno in termini di guerra tra barbarie e civiltà. Per il 49 per cento degli intervistati, non è sotto minaccia la sola civiltà occidentale ma la più globale concezione di Paese civile. Il 38 per cento del nostro campione, invece, parla di scontro in corso tra Islam e Occidente».

Si sta diffondendo pure l'idea che i migranti rappresentino un pericolo, perchè tra loro possono infiltrarsi "professionisti della guerra santa"?
«La sensazione di minaccia interessa chiunque arrivi nel nostro territorio, perchè viene considerato un potenziale nemico. Esiste, comunque, anche una sempre maggiore consapevolezza del fatto che i nemici ce li abbiamo in casa. Francesi e belgi se li sono allevati negli ultimi vent'anni».

Quindi?
«E' sempre più diffusa la certezza che le politiche di sicurezza non garantiscono la soluzione del problema. Un esempio: possiamo spostare il metal-detector dagli imbarchi aeroportuali agli ingressi degli scali, ma così si formeranno all'esterno code che potrebbero attirare eventuali kamikaze. È un continuo inseguirsi, senza mai andare alla radice della questione».

Cosa chiedono i cittadini alle istituzioni nazionali e a quelle europee?
«Da un lato, viene sollecitata una maggiore collaborazione tra intelligence con la creazione di un'Agenzia europea. Lo chiede il 48 per cento dei cittadini. Dall'altro, si vorrebbe una legislazione speciale come ai tempi del terrorismo brigatista. Questa risposta è fornita dal 21 per cento del campione».

Nel vostro studio evidenziate come quasi metà del Paese, il 45 per cento, nutra "sentimenti di guerra". Un'inquietante percezione di ritorno a un passato che si credeva ormai lontano?
«In effetti, è il dato che impressiona di più. L'opinione pubblica sente che questa è una cosa destinata a non finire presto. E che, con l'Isis, non siamo di fronte a un'organizzazione minoritaria impegnata a fare ogni tanto un attentato ma rappresenta un pericolo reale e costante. Sentirsi in guerra, però, non significa ancora che siamo disposti a perdere i nostri cari mandandoli a combattere. Un salto di attenzione e tensione s'è verificato, ma non siamo all'allarme rosso. Diciamo che siamo al livello 2!».

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