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Isis, Ansalone: "Dai terroristi corsa al massacro, noi siamo vittime e spettatori"

PALERMO. «C’è indubbiamente una competizione interna alla galassia jihadista. Al Qaeda ha iniziato la fase discendente della sua parabola dopo la morte di Osama Bin Laden, mentre l’Is ha bisogno di attrarre combattenti e adepti ed affermarsi come riferimento per i diversi gruppi del fondamentalismo». Per Gianluca Ansalone, docente di Geopolitica nell’istituto romano di alta formazione Sioi, siamo nuovamente spettatori — e potenziali vittime — di una «corsa al massacro» che vede in gara i gruppi terroristici, su scala planetaria. Da Istanbul a Ouagadougou, a Giacarta. Lo studioso spiega: «Gli Shabaab somali, Boko Haram in Nigeria e i gruppi indonesiani hanno già ammainato la bandiera qaedista e issato il vessillo nero del Califfato. Altri, come al Qaeda nel Maghreb islamico, provano a rilanciare, con attacchi come quello in Burkina Faso».

Lo scontro nell’Islam, fra sunniti e sciiti, moltiplica attacchi e stragi. Sullo sfondo, Arabia Saudita e Iran si sfidano per la supremazia in Medio Oriente: solo benzina sul fuoco, la revoca delle sanzioni Onu al governo degli ayatollah?
«È un fatto storico ed un passaggio obbligato. L’Iran era alla ricerca di un riconoscimento del suo ruolo di potenza regionale prima ancora che dell'atomica. Il programma nucleare è sempre stata una gigantesca fiche al tavolo da poker. Ed è impossibile immaginare una ricomposizione degli equilibri in Medio Oriente nel lungo termine senza l’Iran».

Oltre 35 anni di tensioni tra iraniani e Occidente, statunitensi su tutti. L’accordo sul nucleare chiude davvero questo capitolo di storia dei rapporti internazionali?
«Assolutamente sì. Da nemico l’Iran si trasforma in “quasi amico” dell’Occidente. Se poi sarà addirittura un alleato potremo valutarlo solo tra qualche tempo. Se Teheran rispetterà innanzitutto gli accordi di Vienna e dimostrerà pragmatismo e collaborazione per arrivare presto ad un cessate il fuoco in Siria soprattutto, allora si aprirà una pagina completamente nuova nelle relazioni internazionali e negli equilibri mediorientali».

I sauditi non apprezzano — ma è solo un eufemismo — il disgelo tra Teheran e Washington. Quanto a lungo resisterà il sostegno arabo alla «Coalizione dei Volenterosi» che in Iraq e Siria sta combattendo contro lo Stato Islamico?
«Per l’Arabia Saudita questo è il momento storico più delicato. Non solo il ritorno dell’Iran nel “concerto delle potenze”, ma il prezzo basso del petrolio e la difficile linea di successione della Casa reale rischiano di far traballare la tenuta interna del regime. Le monarchie sunnite del Golfo hanno sì interesse a contenere le ambizioni iraniane nell’area ma temono soprattutto un crollo della monarchia a Riad. Tuttavia, nessuno dei regnanti a Doha, Dubai, Kuwait city può pensare di assumere da solo una leadership geopolitica. Senza l’Arabia Saudita il fronte sunnita non esiste».

Il Califfato, intanto, si consolida ed espande in Libia dove può già contare sulla wilawa, la provincia, di Sirte. Già fallito il tentativo di dare vita a un esecutivo di unità nazionale per combattere le milizie nere?
«Speriamo di no. Un accordo fragile è meglio di nessun accordo. D’altronde solo un governo di unità nazionale può invocare l’aiuto della comunità internazionale per ripristinare il controllo del territorio, avviare un percorso democratico e contenere l’espansione dello Stato Islamico. I terroristi lo sanno ed è per questo che provano, con ogni mezzo, a sabotare il dialogo tra Tripoli e Tobruk».

Un leader qaedista libico, Abu Obeida Youssef al-Annabi, ha intanto rilanciato in questi giorni le minacce al nostro Paese. Solo voglia di ribalta, o qualcosa di più grave e inquietante?
«La minaccia rimane seria e l'allerta deve rimanere alta. È importante scongiurare il pericolo che a poche centinaia di chilometri dalle coste della Sicilia si insedi un mini-Califfato. In quel caso, diventerebbe più probabile l'ipotesi che i terroristi passino dalle parole e dalla propaganda ai fatti».

Gran Bretagna e Francia pronte alla missione militare nel «Paese del Caos», mentre quattro bombardieri «Amx» della nostra Aeronautica sono pronti a decollare da Trapani Birgi.Ormai inevitabile l’intervento italiano, malgrado i ministri di Esteri e Difesa affermino il contrario? 
«È inevitabile e importante per l’Italia assumere la leadership, che di fatto già esercita, di una missione in Libia. Ma, ripeto, la condizione è che un esecutivo libico ampiamente rappresentativo richieda espressamente un supporto della comunità internazionale per sostenere il processo di legittimazione della sovranità delle istituzioni libiche».

Mediterraneo a rischio, migranti guardati con sempre maggiore sospetto. Pure l’Austria ha sospeso il trattato di Schengen che, però, prevede libertà di movimento esclusivamente per i cittadini comunitari. Demagogia?
«Sì. Così come è demagogia dire “accogliamo tutti”. Processi complessi come l’immigrazione vanno governati con una prospettiva strategica. Ci sono persone che fuggono dagli orrori della guerra e dalle stragi del Califfato. Altri che cercano opportunità economiche. Oggi, in entrambi i casi, sono le reti criminali transnazionali a gestire i viaggi della disperazione. Questo è inaccettabile, anche perché con i soldi del traffico di esseri umani si finanziano spesso attacchi terroristici. Alzare muri serve a poco. Anzi, rischia di minare il disegno stesso di Europa. Senza Schengen, l’Europa ha poco senso. E senza Europa i nostri nemici avranno vinto, ci avranno sconfitti senza bisogno di sparare nemmeno un colpo!».

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