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Vagnini: "In Libia 10 mila miliziani dell'Isis, sottovalutati i pericoli per l'italia"

ROMA. Il Centro Studi Libico sul Terrorismo rivela che nell'ex regno di Gheddafi i «miliziani dell'orrore» sono già almeno 10 mila. Il Califfato avanza in Nord Africa alla conquista di altre «wilayat», di nuove province: «Continuano a essere assolutamente sottovalutati i pericoli che, per il nostro Paese, vengono dal fronte meridionale», afferma Alessandro Vagnini, docente di Storia Contemporanea all'università "Sapienza" di Roma. Lo studioso aggiunge: «A lungo, purtroppo, è stata volutamente ignorata la storia e la tradizionale struttura della società libica che in effetti, come tale, ha dimostrato di non esistere in senso nazionale. Troppe fazioni, troppi contrasti. Troppe condizioni ideali per il dilagare del Daesh (termine arabo per indicare lo Stato Islamico, ndr)».

 Minacce per l'Italia da sud, ma anche da est. Mentre tutti guardano altrove, ad esempioMentre tutti guardano altrove, ad esempio all'emergenza-terrorismo in Francia, viene colpevolmente trascurata e sottovalutata la "via balcanica" al jihad?
«Al contrario, direi che proprio a causa dell'emergenza finalmente in certi ambienti europei si è iniziato a prendere coscienza della vera dimensione del problema. Tuttavia il tipo di risposte che sembrano delinearsi nella maggior parte delle cancellerie sembrano troppo nazionali e poco continentali, a parte sul piano dell’intelligence, probabilmente a causa del fatto che la questione in qualche modo si lega a quella più complessa e vasta dei migranti e dei profughi».

Superpotenze impegnate in Siria e Iraq. Ramadi è stata riconquistata, ma Mosul, Raqqa, Palmira restano sotto il controllo del Daesh. Davvero possibile sconfiggerlo?
«Credo che sconfiggere Daesh, almeno come forza territoriale perchè il terrorismo è altra questione, sia assolutamente possibile e forse neanche tanto difficile. Tuttavia, servono soldati sul campo disposti a combattere fino alla fine. Questo purtroppo, a causa di condizioni politiche internazionali e interne a quei Paesi, non pare al momento ancora realizzabile».

Al di fuori dei suoi confini, in Medio Oriente e Africa, lo Stato Islamico trova sempre nuovi affiliati e spazi di espansione. Perchè il "virus-Isis" ha una così alta capacità di contagio?
«Credo che a questa domanda esistano diverse risposte, nessuna probabilmente tanto semplice da essere riassunta in poche parole. Tuttavia, possiamo senza dubbio dire che la propaganda di Daesh è molto efficace. La campagna di reclutamento dei combattenti è ben rifornita di denaro e l’idea in sé della “guerra-igiene del mondo”, in questo caso grazie al suo essere “santa”, riesca a mobilitare forze consistenti. Si tratta in realtà di una piccolissima minoranza di musulmani. Ma una minoranza, su una comunità che supera il miliardo di fedeli, può comunque essere particolarmente consistente».

Sunniti contro sciiti. Più che in "Siraq", si sta combattendo in tutto il mondo islamico il vero conflitto?
«Sì. Questa lettura è esatta anche se non completa. Si tratta, infatti, di un conflitto interno al mondo islamico che coinvolge sunniti e sciiti, ma anche di una guerra interna a gruppi appartenenti alla stessa confessione, con aspetti in taluni casi persino sociali o nazionali».

Quindi?
«È una situazione molto confusa che ha radici antiche. A questo si somma la questione dei cristiani e di Israele, o meglio di tutti i non musulmani. Un po’ come quando, per oltre cent'anni dopo la Riforma, a più riprese i regni e le società europee cristiane furono coinvolte nelle guerre di religione. Anche in quel caso si trattava di un violento e spietato conflitto interno e anche in quel caso, ogni tanto i cristiani si ricordavano che c’erano i nemici ottomani e, quindi, musulmani da combattere».

Sullo sfondo, l'inquietante braccio di ferro tra Iran e Arabia Saudita. Tutta colpa di Obama e delle sue aperture pro-Teheran, se la situazione sta precipitando?
«La colpa non è di Obama, che a mio avviso ha agito nel bene degli Stati Uniti e della pace internazionale. Il problema è che gli Stati Uniti sono in questa fase ostaggio dei loro alleati regionali. Non vedo differenze tra l’episodio del jet russo abbattuto dai turchi e il religioso sciita giustiziato dai sauditi».

Perchè?
«In entrambi i casi, si tratta di una azione voluta per forzare la mano agli americani, mettendo a repentaglio gli accordi appena raggiunti e in fase di raggiungimento con Russia e Iran per la stabilizzazione del fronte anti Daesh. Accordi che mettono a repentaglio il potere regionale e gli interessi nazionali di Turchia e Arabia Saudita, la cui posizione nei confronti di Daesh appare quantomeno dubbia. In questo senso, Obama è un po’ ostaggio della situazione».

Nel saggio "Contro la paura" appena edito da Baldini e Castoldi, gli autori scrivono: "Se la guerra e' già iniziata, ma anche se fosse solo prossima, dobbiamo riconoscere di essere in ritardo". D'accordo?
«Assolutamente sì. A parte la Francia, per ovvi motivi, e forse anche a tempo determinato, i paesi occidentali non sembrano poter afferrare la reale dimensione del problema. Le nostre società ripudiano la guerra in un modo ormai interiorizzato, pensano che la diplomazia, senza mezzi di pressione se non quelli vagamente economici, possa funzionare con un nemico la cui mentalità è rimasta al medioevo, ai modelli meno efficienti del medioevo in verità. Direi quasi che non siamo noi in ritardo, quelli in ritardo sono i sostenitori di Daesh...».

Cioè?
«Vogliono trattenere il mondo in una dimensione perduta in un tempo immobile, ma per farlo non esitano ad utilizzare con sapienza i mezzi della tecnologia. Noi siamo proprio su un “altro mondo”, senza capire o senza poter capire cosa succede perché, al di là delle parole di circostanza e della momentanea commozione per qualche evento tragico, siamo nel profondo convinti che questi problemi siano lontani e tutto passerà».

 

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