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Colombo: l'Isis alza il tiro e punta al petrolio, ora vuole dominare in Libia

ROMA. «La presenza dello Stato Islamico in Libia è ormai consolidata da tempo. È cambiata, però, la strategia». Silvia Colombo, responsabile per la ricerca dell’Istituto Affari Internazionali-Iai di Roma, spiega così i nuovi ”segnali di attenzione” lanciati dall’Isis nel Regno del Caos: «Gli estremisti hanno capito che per controllare quel territorio, per non essere più soltanto un elemento di disturbo nella guerra civile tra Tripoli e Tobruk in corso dal maggio 2014, devono puntare all’oro nero. Il motore del Paese. L’attacco-kamikaze al centro addestramento reclute di Zliten, nella parte ovest della Libia dov’è concentrata la gran parte dei giacimenti e delle infrastrutture petrolifere, rientra in questo obiettivo».

I miliziani dell'orrore dilagano in Libia, malgrado l'accordo di Skirat firmato dai rappresentanti dei governi di Tripoli e Tobruk. Già tragicamente fallito il patto di unità nazionale?
«Le difficoltà incontrate dall'accordo per l'instaurazione di un governo di unità nazionale siglato il 17 dicembre sono molteplici e sono soltanto rese più acute dai recenti attacchi dello Stato Islamico. La distanza tra le due parti è ancora notevole, a causa delle pressioni delle frange maggiormente intransigenti».

Strage in una città del Mediterraneo. A Zliten, appunto. Il califfo punta a controllare i porti libici per rendere più concrete le sue minacce all'Italia e all'Europa?
«In realtà, ribadisco, l’obiettivo è il controllo del petrolio libico. Data la propria posizione geografica e la storia recente, però, la Libia ha anche un significato aggiuntivo legato all’apertura di un altro fronte, vicino all'Europa, alla luce delle voci insistenti di un possibile intervento militare esterno, reso oggi ancora più probabile per il valore strategico del greggio nella stabilità della Libia e di alcuni suoi partner europei. In questo caso si può parlare di una strategia da parte dei terroristi dello Stato Islamico volta alla totale destabilizzazione del cosiddetto ”vicinato” europeo: dalla Libia alla Siria, dall’Egitto alla Turchia. Tuttavia, l'obiettivo primario resta sempre e comunque il controllo del territorio, delle infrastrutture e delle fonti di rendita nella regione stessa, dalle quali gli estremisti traggono la forza della propria campagna di distruzione».

Sicilia più esposta, anche solo per collocazione geografica. Quanto rischia?
«Penso che la Sicilia non rischi più di altre zone in Europa. L’attacco a Parigi dimostra che la strategia dello Stato Islamico per colpire il cuore dell'Europa sia ben orchestrata e legata a obiettivi sensibili e a impatto elevato. Non penso che la Sicilia rientri in tali obiettivi. Ciò che gli estremisti dello Stato Islamico intendono provocare è, da una parte, panico e terrore tra la popolazione e, dall’altra, una escalation del coinvolgimento dei paesi europei nei teatri di guerra della regione al fine di fomentare instabilità e conflitti».

L’Unione Europea discute di Schengen e controlli alle frontiere interne sui cittadini comunitari. Ormai sotto traccia, invece, l'operazione navale «Eunavfor Med»?
«L’operazione Euvavfor Med-Sophia è ormai entrata nella seconda fase, volta a interdire il network delle reti criminali associato al traffico e sfruttamento di migranti attraverso il Mediterraneo e ridurre il flusso migratorio via mare. Appare, però, in grosse difficoltà a causa della mancanza di coordinamento tra le unità dei 22 Stati che vi aderiscono. Inoltre, in presenza di un accordo politico fragile che stenta a decollare in Libia, l’operazione soffre di legittimità ed è per questo fortemente criticata dall’opinione pubblica di quel Paese».

Lo Stato Islamico lancia l'offensiva in Nord Africa, perchè in Medio Oriente sta perdendo terreno?
«Le fortune dello Stato Islamico in Medio Oriente, principalmente Siria e Iraq, hanno più volte subito fasi alterne in questi mesi di conflitto. Certamente la riconquista della città di Ramadi, in Iraq, da parte delle forze di sicurezza di Baghdad a fine dicembre ha rappresentato una momento importante nella lotta contro il sedicente Califfato. In Iraq l’opposizione militare allo Stato Islamico, anche con il sostegno di gruppi combattenti sunniti, si sta rivelando determinante. In Siria, invece, tale dinamica stenta ancora a decollare a causa della forte opposizione tra le forze di Al-Asad e le opposizioni sunnite. Anche le notizie provenienti proprio dalla Siria di un’avanzata curda nel nord del Paese con il sostegno degli Usa, ma anche la copertura aerea russa devono essere lette con cautela».

Perché?
«Non si può ancora parlare di una svolta nella guerra al Califfato a causa dei complicati equilibri sul campo e dell’elevata posta in gioco. Inoltre, l’accordo per una road map e l’avvio del negoziato politico per un governo di unità nazionale sembra sempre più in difficoltà a causa della mancanza di chiarezza sul futuro di Al-Asad. Le prossime settimane saranno cruciali».

Sunniti contro sciiti, mondo islamico in fiamme. L'Iran ha denunciato che la propria ambasciata in Yemen è stata colpita da una bomba nel corso di un raid saudita. L'Arabia cerca lo scontro con il Paese degli ayatollah?
«L'anno nuovo si è aperto in maniera alquanto convulsa per la regione con le tensioni politiche e diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran allo zenit. Si tratta di un'improvvisa escalation in un rapporto da sempre caratterizzato da aperta ostilità, per ragioni di egemonia politica nella regione, sostenute da rivalità settarie mai sopite. Nella dinamica di continue provocazioni tra Riad e Tehran la posta in gioco diviene ogni giorno più elevata: non tanto per i rapporti bilaterali tra i due paesi, quanto per le immediate ripercussioni di tali tensioni nei già complessi teatri di guerra mediorientali, dalla Siria allo Yemen, passando per il Libano e l'Iraq».

Quindi?
«In quest'ottica, il negoziato per il futuro della Siria che dovrebbe intavolarsi a fine gennaio sembra sempre più una speranza effimera. Sullo sfondo vi sono due Paesi, Arabia Saudita e Iran, che sono in bilico tra debolezze interne e grandi aspirazioni regionali e che faticano a trovare una loro collocazione sul delicato scacchiere mediorientale in una fase di importanti trasformazioni sia interne sia internazionali. Si veda il negoziato sul nucleare e l'andamento dei prezzi del petrolio».

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