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Beirut, 2 kamikaze dell'Isis provocano una strage: almeno 41 morti

Nella rivendicazione l'Isis afferma che «soldati del Califfato» hanno compiuto l'attentato a Beirut contro un raggruppamento di sciiti» e «apostati»

BEIRUT. Lo Stato islamico sbarca ufficialmente a Beirut con la rivendicazione del più sanguinoso attacco compiuto in Libano negli ultimi otto anni: due esplosioni causate da altrettanti kamikaze hanno scosso la periferia meridionale della città, roccaforte del movimento sciita Hezbollah da tre anni coinvolto nella mattanza siriana.

Almeno 41 persone sono rimaste uccise, in larga parte civili, tra queste si contano anche diverse donne. I feriti, secondo la Croce rossa libanese sono circa 200. Il già drammatico bilancio potrebbe aumentare a causa della gravità delle condizioni di molte vittime. Il governo libanese ha decretato un giorno di lutto nazionale e la chiusura delle scuole «in solidarietà con le vittime del terrorismo».

Nella rivendicazione dell'Isis, rilanciata dal Site, il sito di monitoraggio dell'estremismo islamico, il gruppo jihadista afferma che «soldati del Califfato» hanno compiuto l'attentato a Beirut contro un «raggruppamento di sciiti» e «apostati». La prima esplosione si è registrata poco dopo le 18 (le 17 in Italia) in un affollato vicolo del quartiere di Burj al Barajne, tra l'omonimo campo profughi palestinese e la zona controllata dalle milizie sciite filo-iraniane. Nel comunicato pubblicato dal Site, l'Isis afferma che il primo kamikaze era a bordo di una moto bomba.

La seconda esplosione - causata da un attentatore suicida a piedi secondo le parole dei jihadisti - è avvenuta dopo circa due minuti, a meno di cento metri di distanza, in via Hussayinia, all'incrocio di Ayn Sikke, poco lontano da un affollato caffè popolare e il retro dell'ospedale Rasul al Aaazam, gestito da Hezbollah.

L'esercito libanese ha confermato che si è trattato di due attentatori suicidi e che è stato ritrovato il corpo di un terzo kamikaze che non è riuscito a farsi saltare in aria. Del terzo
attentatore non fa riferimento il comunicato attribuito all'Isis.

Le immagini diffuse dalla tv al Manar del movimento sciita, la prima a raggiungere il luogo della strage, hanno mostrato edifici in fiamme, facciate dei fatiscenti palazzi sventrate, gente nel panico, corpi a terra e soccorritori con in braccio vittime sanguinanti. Sui social network è stata persino pubblicata la foto, la cui autenticità non è stata confermata dalle autorità, della testa staccata dal corpo di «uno degli attentatori».

Bisogna risalire al maggio 2007 per rintracciare un bilancio altrettanto grave consumatosi però a causa di un duplice attentato a Beirut e Tripoli, nel nord, nel giro di poche ore. A terra rimasero allora 48 persone. Persino l'attentato che a Beirut costò la vita all'ex premier Rafik Hariri, nel febbraio 2005 e che segnò l'apice di un'escalation su scala regionale, aveva mietuto meno vittime di quello odierno.

Da quando Hezbollah nel 2012 aveva deciso di partecipare direttamente alla sanguinosa repressione governativa della rivolta in Siria, si sono registrati due sanguinosi attacchi
dinamitardi e kamikaze contro la sua roccaforte nella periferia sud di Beirut. In un clima di crescente polarizzazione confessionale e politica, il 15 agosto 2013 ventisette persone erano rimaste uccise a Beirut sud da un'esplosione di un'autobomba. L'attentato era stato poi rivendicato da un'oscura sigla. Più noto era invece il nome di un gruppo qaedista che aveva
rivendicato il duplice attacco suicida contro l'ambasciata iraniana a Beirut il 19 novembre dello stesso anno e nel quale morirono 23 persone.

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