WASHINGTON. «Sipah-e-Sahaba è un gruppo abbastanza oscuro, di ideologia molto simile ad al Qaeda o all' Isis ma senza alcuna rilevanza internazionale perché finora ha colpito unicamente in Pakistan. Il suo obiettivo, la minoranza musulmana di fede sciita. In giro per il mondo, invece, ha solo una rete di carattere logistico, impegnata innanzitutto a raccogliere fondi». Lorenzo Vidino, docente e direttore del «Programma sull' Estremismo» nella «George Washington University» della capitale statunitense, ha letto oltreoceano ieri le notizie dell' inchiesta coordinata dalla Procura di Caltanissetta che ha portato in carcere Muhammad Bilal, un giovane di origini pakistane da un anno in Italia. E chissà da quando, almeno stando alle accuse, legato agli jihadisti di «Sipah-e-Sahaba». Per Vidino, la storia di questa formazione terroristica non giustifica il timore di attentati in preparazione nel nostro Paese: «I gruppi fondamentalisti, però, possono sempre cambiare pelle - avverte - e rappresentare una minaccia. Anche da noi». Tra Pakistan e Afghanistan, confini molto labili. Quali collegamenti esistono tra «Sipah-e-Sahaba» e i talebani? «Si muovono sempre nella stessa galassia, cui appartengono almeno altre due o tre fazioni che hanno sempre fornito manovalanza ai talebani. Mi riferisco, ad esempio, al gruppo Lashkar-e-Taiba (in pakistano: "Esercito di Dio", ndr) che ha commesso gli attentati a Mumbai in India nel 2008 (più di 195 le vittime, tra cui un italiano, ndr)». Altro fondamentalista pakistano in cella, dopo quelli arrestati nei mesi scorsi in Sardegna. Un nuovo spunto per chi parla di allarme -terrorismo, collegandolo agli sbarchi dei migranti? «Nel "mare magnum" di centinaia di migliaia di migranti, qualche mela marcia è inevitabile che vi sia. Clandestini o no, qualcuno c' è. Sbagliato, però, dire migranti uguale terrorismo. Statisticamente, i casi sono pochi ma non bisogna certo sottovalutarli. I pakistani arrestati a Olbia, peraltro, erano legati a una sigla diversa ma molto simile rispetto a Sipah-e-Sahaba e tra loro parlavano di attentati da commettere in Vaticano». A poche settimane dal Giubileo, Roma e l' Italia più esposti a pericoli? «Nella lista di Sipah-e-Sahaba, in testa figurano gli sciiti ma i cristiani o gli ebrei sono altrettanto nemici. Ciò è parte integrante della loro ideologia jihadista. È chiaro, quindi, che esistono nel nostro Paese qualche centinaio di soggetti legati a quel credo. Alcuni sono affiliati a formazioni strutturate, presenti in territori come Pakistan o Siria. Altri, invece, sono simpatizzanti del jihad e si muovono particolarmente su Internet». Muhammad Bilal s' è «tradito» su Facebook. Social -network, punto di forza e debolezza per terroristi e aspiranti tali? «Le autorità spesso discutono sull' utilità di chiudere o meno questi profili. Da un lato, i social servono al proselitismo e al reclutamento. Dall' altro, forniscono una finestra nelle attività di queste fazioni e rappresentano una fonte preziosissima per i servizi di intelligence. Meglio, allora, tenere aperta questa finestra soprattutto con le nuove generazioni. Perchè ritengono che, se non posti la foto su Twitter o Instagram, non esisti: è folle, ma è così. Ovviamente, la difficoltà sta nel distinguere lo jihadista da tastiera e chi realmente può rappresentare una minaccia». Su Internet, comunque, il virus jihadista si diffonde. Potenziali terroristi crescono, anche nel nostro Paese? «Sicuramente sì, ma i numeri sono ancora decisamente ridotti rispetto a Germania o Francia o Inghilterra dove, in un modo o in un altro, decine di migliaia di soggetti sono affascinati Minori portati da una parte all' altra nel Califfato perché assistano a fucilazioni e decapitazioni (Iacomini, 16 settembre) dal jihad. Così tanti, è più difficile monitorarli. In Italia, inoltre, il fenomeno terroristico è legato soprattutto al migrante che, come nel caso del pakistano arrestato adesso su ordine della magistratura siciliana, è arrivato qui già radicalizzato. Altrove, invece, siamo alle seconde o terze generazioni che hanno pure cittadinanza. Quindi, non è possibile espellerli come fa da noi il ministero degli Interni. Questo è uno strumento che molti Paesi ci invidiano ...». Sbagliato, dunque, concedere cittadinanza a chi nasce in Italia da genitori extracomunitari? «È solo un aspetto di un problema molto più complesso. Non mi schiero contro la legge che vuole concedere cittadinanza in base allo "ius soli". A chi, cioè, nasce in Italia. Dal punto di vista della sicurezza, aiuta poter disporre di espulsioni facili: basta un decreto ministeriale. Da noi soltanto nel corso di quest' anno ne sono già stati emessi cinquanta, più di uno a settimana. Certo, è possibile anche argomentare al contrario e dire che la mancanza di cittadinanza costituisce un fattore di radicalizzazione».