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De Donno: «Lo stato islamico senza l’intervento con truppe di terra non sarà sconfitto»

«Più raid aerei in Siria non servono. Finora, d'altronde, non sono certo riusciti a contenere in maniera significativa la diffusione, la baldanza e la ferocia dell'Isis». Marcello De Donno, l'ex capo di Stato Maggiore della Marina ora ai vertici dell'Istituto romano di Studi Strategici Machiavelli, boccia senza troppe attenuanti il «piano Cameron». Stando alle rivelazioni pubblicate ieri dal Sunday Times, il premier britannico chiederà tra meno di un mese al Parlamento di Londra l'autorizzazione all'impiego di piloti e velivoli inglesi per bombardare il Califfato, come stanno già facendo gli Usa e altre nazioni della cosiddetta Coalizione dei Volenterosi: «Ma senza intervento di terra - esclama De Donno - quello pseudo-Stato, lo Stato Islamico, non sarà sconfitto!».

La strategia anti-Isis di Stati Uniti, Gran Bretagna e alleati s'è finora fondata sulle incursioni dal cielo. Tutto sbagliato?

«Non mi pare che in tutti questi mesi siano riusciti, così, a ottenere nulla. Nessuno vuole sporcarsi le mani, agendo sul campo. È vero, ciò comporta il rischio di avere morti in battaglia. Ma dopo avere visto prigionieri bruciati o affogati in gabbia, oppure giustiziati da bambini costretti a impugnare pistole, cosa bisognerà aspettare ancora prima che la comunità internazionale decida di muoversi?».

Perché tanta inerzia?

«Come ogni uomo della strada, mi chiedo perché di fronte a una minaccia di tale portata non si voglia andare oltre queste campagne di attacchi aerei che, francamente, lasciano il tempo che trovano. Allora, mi viene da pensare all'esistenza di interessi che impongono di limitarsi a condannare, ma a non fare niente di concreto. Dovrebbe essere l'Onu a muoversi per mettere assieme una coalizione che s'impegni almeno a stabilizzare quell'area».

Anche la Russia, nei mesi scorsi, sembrava disposta a dare il proprio contributo militare per combattere i "tagliagole". Un'illusione?

«Piuttosto di continuare a parlare di sanzioni alla Russia (imposte da Usa e Unione Europea in risposta alla crisi ucraina, ndr) per un conflitto che ancora può essere risolto con la diplomazia, in questo momento storico bisognerebbe preoccuparsi della minaccia principale: l'Isis. A tutto questo, peraltro, è strettamente legato il fenomeno delle migrazioni, che rischia di travolgerci. Basterebbe solo domandarsi come potremo mai accogliere la popolazione siriana, se gran parte di essa decidesse di raggiungere l'Europa per salvarsi dal Califfato. Senza contare, poi, le questioni di sicurezza...».

Cioè?

«In quella regione, tra Siria e Iraq, si muovono personaggi che non hanno mai fatto mistero di volere issare la bandiera nera dell'Isis sul Vaticano. Nessuno può vietarci di pensare che, tra decine di migliaia di profughi interessati solo a scappare dalla guerra, possa nascondersi una minoranza di miliziani del califfo interessata a infiltrarsi nel nostro continente per dare corpo ai loro sogni malati. I due problemi, dunque, si legano: lo Stato Islamico va debellato per consentire agli abitanti di quei territori di non dovere migrare».

Stando ai servizi segreti italiani, i terroristi potrebbero anche servirsi di droni per attaccare obiettivi occidentali. Fantascienza?

«No, non credo proprio che sia fantascienza. Ormai, i droni commerciali hanno avuto una diffusione molto ampia: si acquistano su Internet e lo Stato Islamico ha dimostrato che non sono certo le risorse economiche a fargli difetto. Al giorno d'oggi, poi, è relativamente facile pilotare a distanza un velivolo dopo averlo caricato non con una telecamera, ma con un chilo di tritolo. O, peggio, con un quantitativo di gas chimico. Un mezzo del genere non può percorrere molti chilometri, però basta per un attentato terroristico. Oltre ai kalashnikov e alle auto-bomba, insomma, c'è anche questo».

Siamo abbastanza lontani dallo Stato Islamico, per dirci al riparo?

«La distanza non conta. Il problema sta nel fatto che lo Stato Islamico si pone l'obiettivo di distruggere e islamizzare l'Occidente. Impossibile dialogare con loro, tentare una discussione razionale. Vogliono solo tornare indietro al tempo dei Califfati medievali e, nel fare questo, hanno mostrato di sapersi moltiplicare e diffondere come se fossero cellule cancerose nel corpaccione del nostro molle mondo».

Altra ipotesi. Quella di attacchi-kamikaze sferrati in aereo dagli jihadisti libici, nostri "vicini di casa". Possiamo considerare efficace il nostro sistema difensivo nel Mediterraneo?

«Tutti i sistemi di difesa sono adeguati nella misura in cui esiste piena consapevolezza del pericolo e adeguata predisposizione alla reazione. In particolare, poi, la Marina Militare Italiana è certamente dotata di navi in grado di affrontare attacchi di varia natura, anche aerei. È sulla volontà politica di dover affrontare il problema, però, che è legittimo nutrire qualche dubbio».

Solo un difetto di volontà politica, dunque, se la missione navale europea "Eunavfor Med" non prende il largo?

«In questo momento, Eunavfor Med è poco più o poco meno che la nostra Mare Nostrum: un'operazione di soccorso dei migranti nel Mediterraneo. Niente pattugliamento, né lotta ai trafficanti di esseri umani. Continuiamo a non fare nulla, dicendo che non abbiamo interlocutori sull'altra sponda. Abbiamo, però, aspettato abbastanza a lungo e in Libia non è accaduto nulla. Impossibile subire ancora un flusso incontrollato di persone. La questione, quindi, va discussa a livello Onu per decidere sull'eventuale occupazione temporanea della fascia costiera libica e per imporre regole certe sulle partenze».

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