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Pugnalata durante il corteo del Gay Pride: è morta la 17enne israeliana

TEL AVIV. In Israele, un lutto dopo l'altro. Dopo Ali Dawabsheh, il bimbo di 18 mesi morto venerdi in un rogo doloso in Cisgiordania, oggi è deceduta Shira Banki, la 17enne israeliana pugnalata da uno zelota ebreo al Gay Pride di Gerusalemme giovedì scorso. In una drammatica seduta del Consiglio dei ministri il premier Benyamin Netanyahu ha assicurato che verso gli integralisti ebrei - colpevoli delle morti di Ali e di Shira - ci sarà «tolleranza zero». E scatta la prima risposta, il primo provvedimento: arresti preventivi degli estremisti.

Sulla stampa compaiono titoli allarmati. «La casa brucia» avverte a tutta pagina Yediot Ahronot, con un intervento dello scrittore Eshkol Nevo. E Haaretz pubblica, in prima pagina, il monito di David Grossman: i terroristi ebrei hanno dichiarato guerra allo Stato di Israele. Non bisogna sottovalutare il pericolo, prosegue il romanziere: perchè quelle persone «non fanno compromessi». Potrebbero cercare di colpire la Spianata delle Moschee, con conseguenze catastrofiche. Nel frattempo i servizi di sicurezza elevano la protezione attorno al Capo dello Stato Reuven Rivlin che con parole coraggiose ha denunciato l'attentato in cui Ali ha perso la vita e l'attacco al Gay Pride. Sul web c'è chi si augura la sua morte precoce, magari per mano di uno zelota «alla Igal Amir», l'assassino di Yitzhak Rabin. La polizia ha aperto un'inchiesta sulle minacce. Mentre i genitori e il fratello di Ali, orrendamente ustionati, lottano ancora contro la morte, la liceale Shira non c'è l'ha fatta.

La notizia del decesso, giunta nel pomeriggio di ieri, ha destato costernazione nel Paese. Le foto la mostrano piena di vita, ottimista. «Shira è morta perchè difendeva con coraggio il diritto di ciascuno di vivere la propria vita con rispetto e sicurezza» ha commentato Netanyahu. «Non consentiremo al disgustoso assassino di alterare i valori basilari su cui si fonda la società israeliana. Condanniamo con disprezzo il tentativo di imporre fra di noi l'odio e la violenza. Agiremo affinchè l'assassino riceva la pena che merita», ha aggiunto il primo ministro israeliano.

Già dieci anni fa l'assassino di Shira, Yishai Schlissel, aveva attaccato il Gay Pride, ferendo tre partecipanti. Rimesso in libertà il mese scorso è tornato all'attacco, cogliendo incredibilmente di sorpresa la polizia. Il rabbino Capo Yitzhak Yossef e il rabbino di Gerusalemme Shlomo Amar lo condannano senza mezzi termini. «Inammissibbile che nel nome della religione si infierisca sul prossimo, tanto più a Gerusalemme» affermano. Ma in ambienti più radicali Schlissel raccoglie espressioni di consenso: in genere anonime, per non rischiare arresti. Nel frattempo i servizi segreti proseguono le indagini per catturare i responsabili dell'uccisione di Ali Dawabsheh.

«Li prenderemo» ha promesso Netanyahu al governo. Ma si tratta a quanto pare di giovani estremisti - forse un centinaio - che vivono allo stato brado nelle colline della Cisgiordania. Sono animati da un'ideologia eversiva, ostile alle strutture dello stato democratico di Israele: una miscela esplosiva di integralismo ebraico, inclinazione alla violenza, ed anarchia. Agiscono con piccole cellule. L'esercito è costretto a mantenere in Cisgiordania la massima allerta perchè possono tornare a colpire ovunque, in ogni momento.

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