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Usa-Cuba, riaprono le ambasciate: issate le prime bandiere

WASHINGTON. Allo scattare della mezzanotte, la svolta che pochi avrebbero immaginato anche solo un anno fa è diventata realtà: Stati Uniti e Cuba non solo sono tornati a parlarsi, ma hanno riaperto le rispettive ambasciate a Washington e all'Avana in quella che è da questo punto in poi la 'data simbolo' del disgelo voluto da Barack Obama e da Raul Castro che ha portato a ristabilire le relazioni diplomatiche interrotte nel 1961.

Dopo oltre 50 anni al dipartimento di Stato torna così la bandiera cubana tra quelle dei paesi con cui gli Stati Uniti mantengono relazioni diplomatiche. Con discrezione e senza fanfare, prima dell'alba è stata posizionata tra quella croata e quella di Cipro. Poco lontano, in mattinata, è stato il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, - il primo capo della diplomazia cubana che mette piede a Washington dal 1958 - ad issare la bandiera su quella che torna ad essere l'ambasciata di Cuba negli Stati Uniti. Una cerimonia davanti a qualche centinaio di invitati, mentre in strada una piccola folla dava voce a quelle contrapposizioni che la storica decisione pure suscita, tra chi festeggia per l'inizio di una nuova era e chi ritiene che si sia persa un' «occasione» per 'liberarè davvero Cuba. «È una giornata di festa senz'altro, ma di una festa incredibile».

Vivian Delgado è forse la più entusiasta. «È un momento incredibile - non si stanca di ripetere - per me che sono cubana-americana di prima generazione, ma anche per i ragazzi, i più giovani, la seconda generazione di cubani-americani cui questa giornata va spiegata come un litigio tra fratelli che deve essere risolto e per questo bisogna decidere se essere parte del problema o parte della soluzione. Ecco, noi oggi siamo parte della soluzione». Francisca Vigaud, anche lei cubana-americana, per festeggiare invece non vede alcun motivo.

A suo avviso così si consente al regime di Castro di continuare nell'oppressione. «Da quando sono cominciati i colloqui che hanno portato a questa decisione - spiega all'ANSA - l'oppressione è continuata invece di diminuire». E Francisca non crede nemmeno che in futuro le cose potranno cambiare: «Obama ha preso una decisione che non tiene conto della voce dei cubani, è stata persa un'occasione, è stato perso il treno».  Intanto partono i comunicati: la 'sezione d'interessì Usa all'Avana «è diventata ambasciata degli Stati Uniti e proseguirà le proprie funzioni diplomatiche dalla sede sul 'Malecon'» della città, sotto la guida «dell'attuale incaricato d'affari ad interim, Jeffrey De Laurentis».

È la prima nota diffusa dalla rappresentanza americana all'Avana, in attesa dell'imminente viaggio a Cuba del segretario di Stato John Kerry il prossimo il 14 agosto. Gli Stati Uniti sono ben attenti a considerare questa ulteriore fase dell'avvicinamento tra i due paesi come uno dei passi lungo il percorso annunciato da Obama il 17 dicembre: «un passo storico nella direzione giusta», ha detto Kerry, che pure ha precisato come questo momento non rappresenta il superamento di tutte le differenze tra Washington e l'Avana, nella consapevolezza che sono diversi i nodi da sciogliere.

A partire dall'embargo. È il ministro cubano a ricordarlo  a Washington, chiedendone la rimozione completa. Kerry, nel ricordare che lo stesso presidente Obama ha invitato il Congresso a procedere in quella direzione, si è detto speranzoso che le restrizioni vengano revocate appena opportuno.

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