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Villafranca: «Il debito greco è insostenibile, l'economia non è competitiva»

PALERMO. Firmato l' accordo di Bruxelles, già si scopre che la Grecia ha bisogno di «ben altro» per rimettersi davvero in piedi. Strada stretta e tortuosa, però. Antonio Villafranca, responsabile del programma di ricerca sull' Europa nell' Istituto Studi «Ispi» di Milano, afferma: «Il debito pubblico greco è insostenibile. Il problema è che i debiti con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale europea non possono essere rinegoziati come si fa con i privati. Quello che si può sicuramente fare è un allungamento delle scadenze e una riduzione dei tassi applicati. Che, comunque, sono già bassi».

Tre anni dopo il «default controllato», la Grecia è di nuovo in ginocchio. Un tunnel senza uscita?
«Il vero problema della Grecia sta nella bassa competitività della sua economia. Ormai da tempo il costo del lavoro si è ridotto e l' euro è debole. Eppure questo non ha rilanciato le esportazioni greche. Questo perché i settori di punta delle esportazioni sono pochi, molto tradizionali, a basso contenuto tecnologico, e con margini di profitto molto bassi che non rimpinguano le casse dello Stato. In queste condizioni anche il ritorno ad una dracma super -svalutata non aiuterebbe le esportazioni greche, mentre aumenterebbe il peso delle importazioni».

Scontri furibondi tra governanti, un piano di aiuti pesantissimo. L' Europa ha soccorso Atene, ma è riuscita anche a salvare una delle ragioni stesse della propria esistenza: il principio di solidarietà?
«La solidarietà è senza dubbio un principio fondante, che però va di pari passo con la correttezza e il rispetto dei patti. Il vero problema dell' Eurozona è che non può continuare a prendere decisioni a livello intergovernativo. Un processo troppo complicato, lento, inefficiente. Per sfruttare al meglio le potenzialità della moneta unica sarebbe fondamentale uno strettissimo coordinamento di tutte le politiche economiche, non solo quelle di bilancio, all' interno di un graduale percorso federale. Condividere una moneta non è solo una questione economico -finanziaria, ma vuol dire condividere un destino comune. Con tutte le implicazioni politiche che questo comporta».
Un lungo elenco di riforme da approvare.

Troppo debole il premier Tsipras per riuscire in questa impresa?
«Il ricorso al referendum da parte di Tsipras è stato un grave errore. Ha deteriorato ulteriormente il clima di fiducia con gli altri leader europei, ha messo in ginocchio le banche greche e aggravato la recessione. La decisione evidentemente è stata presa per motivi interni a Syriza, che infatti negli ultimi giorni si è spaccata. Tsipras sta approvando le riforme ma solo grazie all' appoggio degli altri partiti: Pasok, Nuova Democrazia, To Potami. La sua coalizione di governo, con la destra dei Greci Indipendenti, non esiste invece più. Tsipras potrebbe continuare ad essere primo ministro anche in futuro, ma con una coalizione diversa».

Dimitri Deliolanes, in un' intervista al Giornale di Sicilia, ha affermato che il «piano è brutto ma almeno è servito a smascherare gli antieuropeisti come Schauble». Davvero così cattivi i tedeschi?
«Il salvataggio della Grecia, dal 2010 a oggi, è costella to da una serie ripetuta di errori e cattive valutazioni da parte di Atene e delle altre capitali europee. Dopo la manipolazione dei conti pubblici da parte di Atene per nascondere un deficit fuori misura, non c' è dubbio che ci sia stata da parte di Francia e Germania una eccessiva attenzione al salvataggio delle proprie banche fortemente esposte nei confronti di Atene. Quelle italiane lo erano proporzionalmente molto meno. Ma negli ultimi anni le colpe di Atene sono state molte».
Cioè?
«Un esempio è costituito dalla resistenza alla implementazione di riforme strutturali già concordate con i partner europei per ottenere i due piani di salvataggio. Quando la fiducia si riduce ai minimi termini, un piano brutto è inevitabilmente dietro l' angolo. D' altra parte la democrazia non esiste solo in Grecia. Cosa succederebbe se ai cittadini tedeschi, o finlandesi, si chiedesse per referendum di concedere ulteriori prestiti alla Grecia?».

I «paladini dell' austerità» hanno contestato ancora una volta l' attivismo del governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Ruolo e poteri della Bce vanno ripensati?
«Mario Draghi ha svolto in questi anni un lavoro degno del miglior equilibrista. Durante la crisi, la Bce si è spesso mossa molto bene. Se però la si confronta alle altre grandi banche centrali emergono ritardi negli interventi e, almeno all' inizio della crisi, minore intensità degli stessi. Questo ovviamente per resistenze e fratture al suo interno, malgrado la Bce sia formalmente indipendente dal potere politico. Un ripensamento della sua governance interna sarebbe opportuno, mentre molto più delicata e dibattuta è la questione della sua mission, ovvero solo stabilità dei prezzi o anche crescita e occupazione. Come nel caso della Federal Reserve americana».

Da Salvini a Grillo, pure in Italia cresce il fronte anti -euro. Solo tattiche elettorali, o davvero la moneta unica ci ha penalizzato rispetto ad altri Paesi?
«I problemi italiani sono profondi e complessi: produttività del lavoro in calo, dinamiche salariali slegate da questa produttività e una sostanziale perdita di competitività del nostro paese. Tutto ciò si è tradotto in bassa crescita ben prima che la crisi esplodesse.
Sperare che tornando alla lira si risolvano questi problemi vuol dire farsi illusioni. Solo riforme strutturali profonde e coraggiose, unite a nuovi e veri investimenti, potranno rilanciare la crescita nel nostro Paese. Inoltre, è semplicistico pensare che con la lira riacquisteremmo sovranità monetaria perché questa non dipende da noi, ma in gran parte dalla credibilità che il resto del mondo riconosce alla nostra moneta. Già con la vecchia lira, e in un contesto internazionale in cui ancora i Brics non esistevano, la credibilità non era alle stelle. Figuriamoci come sarebbe oggi!».

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