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Vidino: «Lottare e uccidere, nel Ramadan scelta simbolica per i jihadisti»

«Durante il Ramadan, assistiamo ormai da tempo a una recrudescenza del terrorismo islamista. Un anno fa, poi, è stato annunciato il Califfato. L’Isis celebra così, dimostrando di poter colpire in tre continenti».  Lorenzo Vidino, docente e direttore del «Programma sull' Estremismo» nella «George Washington University» della capitale statunitense, sottolinea il «significato simbolico» degli attacchi sferrati ieri - venerdì di Ramadan, giorno e mese sacri per i musulmani - dagli jihadisti in Francia, Kuwait e Tunisia. Europa, Asia e Africa.

Tre attentati in poche ore. Nulla di casuale in questa strategia dell'orrore?
«Non è detto che gli attentatori nei tre Paesi si fossero coordinati, non lo sappiamo e allo stato attuale lo escluderei. Non è certo casuale, però, che abbiano scelto di colpire il primo venerdì di Ramadan. Gli estremisti islamici ritengono infatti che combattere, uccidere, morire in un giorno "santo"sia un atto particolarmente gradito ad Allah. In alcuni suoi video e su twitter, peraltro, l' Isis aveva parlato di attacchi da realizzare in questo periodo».

Dalla strage del 7 gennaio a ieri, per i francesi un incubo senza fine. Nel Vecchio Continente, sono loro i più esposti a «lupi solitari» e «fanatici della porta accanto»?
«La Francia ha il numero più alto di "foreign fighters", di combattenti per lo Stato Islamico in Siria. L' Italia ne ha 100, loro almeno 1.200. In quel Paese esiste una scena islamista forte, probabilmente la più forte in Europa. Come a Parigi, peraltro, sembra che l' autore di quest' ultimo assalto fosse noto ma, quando hai tante persone datenere sotto controllo, servizi di intelligence e forze dell' ordine devono fare delle scelte. Non possono tenere d' occhio tutti».
La redazione di un giornale, sei mesi fa.

Uno stabilimento di produzione energetica, adesso. Terroristi impegnati a dimostrare di poter colpire ovunque?
«Per i terroristi, la gamma di obiettivi è molto ampia e non si riesce a controllare tutto. Passano da obiettivi "soft", ad esempio un centro commerciale, a quelli sensibili come un impianto energetico. Certo, la scelta di quest' ultimo sito è ben precisa. Da un punto di vista operativo, il raid è stato mirato tanto che un attentatore è entrato e ha provocato alcune esplosioni. Inoltre, non va dimenticato che il proprietario di quel sito è un americano di origini iraniane e di fede sciita».

In Tunisia, invece, ancora turisti nel mirino. Il museo del Bardo, la spiaggia... «Industria delle vacanze» sotto attacco?
«Non c' è dubbio. È un filone. L' economia turistica tunisina, a lungo in competizione con quella siciliana e italiana, viene così distrutta. Se la strage al Bardo aveva spaventato tanta gente, questo episodio la allontana definitivamente. La strategia è chiara: basti vedere le immagini del cadavere del turista in costume da bagno, accanto a quelle di chi fuggiva dal museo di Tunisi. Si vuole affondare la principale fonte di ricchezza della Tunisia».

In un' intervista al «Giornale di Sicilia», la giornalista algerina Nacera Benali ha evidenziato nei mesi scorsi come città e spiagge tunisine siano i luoghi preferiti dai suoi connazionali in ferie. Nel mirino anche il Paese che già negli anni Novanta sconfisse i fondamentalisti?
«Sì, certamente. L' obiettivo principale, comunque, è costituito dai turisti occidentali. I terroristi, nelle loro azioni, si preoccupano sempre delle varie «audience» e di come possono essere percepite le loro incursioni. In passato, quando fu commesso un attentato ad Amman contro i partecipanti a un matrimonio, la reazione fu fortissima in Giordania perchè tutte le vittime erano musulmane. Altra cosa, invece, è colpire donne in bikini e uomini mezzi nudi che vengono dall' Occidente e corrompono le società islamiche. In certi ambienti, questo messaggio va».

Terzo attentato, in Kuwait. Perchè?
«Anche lì, la strategia è consolidata. L' Isis, e ancor prima al Qaeda, vuole fomentare uno scontro settario fra sciiti e sunniti. L' hanno fatto in Iraq, adesso si stanno allargando alla Penisola arabica. Si sono ripetuti assalti in Kuwait e Arabia Saudita, vogliono destabilizzare tutta l' area che comprende pure Bahrain e gli Emirati. Sono tutte nazioni a maggioranza sunnita ma con una forte presenza sciita. Si cerca, così, di alimentare tensioni preesistenti».

La Libia è ormai diventato un enorme campo di addestramento per jihadisti. Per la comunità internazionale, possibile restare ancora alla finestra?
«I terroristi tunisini si nascondono sulle montagne algerine, non vengono solo dalla Libia. Certo è, però, che gli autori della strage al museo del Bardo si erano addestrati in territorio libico. Dal l' insicurezza, dall' anarchia totale di questo Paese, arrivano molti problemi. Per tutti».

Se ne sono accorti pure gli americani?
«Mica tanto. Una cosa è decidere una missione in Libia, altra è andare a prendere il capo qaedista (il riferimento è al raid americano nel quale, due settimane fa, è stato ucciso il terrorista Mokhtar Belmokhtar, ndr) perchè forse sta architettando qualcosa contro gli Usa. Questa, evidentemente, non è l' operazione che cambia la situazione. Difficilissima, lì, la soluzione politica. In nessun Paese occidentale, invece, esiste la volontà politica di intervenire militarmente».

Unico segnale di presenza, l' avvio della missione europea «Eunavfor Med» nel Mediterraneo. Basterà un blocco navale, almeno per contrastare efficacemente i boss libici dei barconi?
«Mi sembra un gesto simbolico, o poco più. Lo stesso governo di Tobruk, pure il più filoccidentale, ha risposto negativamente avvertendo che considererà un atto di guerra ogni presenza straniera in acque libiche. È chiaro che, lì, ogni iniziativa del genere si può fare soltanto se ha il supporto di una parte almeno delle forze in campo. Questa operazione, invece, è vista male da tutti. Anche la nostra Marina Militare, peraltro, ha manifestato il proprio scetticismo. Anche perchè manca ogni legittimazione per questo tipo di intervento».

Lo Stato Islamico, intanto, «festeggia» il primo anno dalla sua autoproclamazione avanzando in Siria e Iraq. Ma non doveva essere la stagione della controffensiva alleata?
«Da mesi, la cosiddetta "coalizione dei volentero si" annuncia che sta per essere lanciata l' offensiva per riconquistare Mosul. Invece, l' Isis avanza in Iraq e sembra stia per riprendersi territori che sembravano persi come Kobane».

Califfato inarrestabile?
«Se la situazione è questa, pesano un insieme di motivi. Se però analizziamo il solo fattore occidentale, non sembra che vi sia grande attività. Un recente studio, peraltro, ha significativamente evidenziato come in Kosovo negli anni Novanta i raid Nato siano stati una decina di volte superiori a quelli sferrati adesso da americani e alleati in Iraq. E il Kosovo è un territorio infinitamente più piccolo rispetto a quello dove attualmente si sta combattendo la guerra contro il Califfato».

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