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Strage nella chiesa, il killer confessa: "Volevo scatenare guerra razziale"

Il killer Dylann Roof

 

CHARLESTON. Una confessione che conferma il più profondo incubo americano: l'autore della strage di Charleston voleva scatenare una «guerra razziale». Il 21enne Dylann Roof che ha aperto il fuoco in una chiesa riferimento storico della comunità afroamericana del South Carolina uccidendo nove persone, ha ammesso che il suo gesto è stato dettato dall'odio razziale, dal folle desiderio di una società segregata. Un messaggio che voleva lanciare al mondo, lui stesso lo aveva 'affidatò ad una donna risparmiata nel massacro quando forse prevedeva che alla fine della sua missione criminale quell'arma l'avrebbe rivolta verso se stesso. Ed erano mesi che ci pensava, che progettava l'atroce attacco. Almeno sei mesi stando alle prime testimonianze che fanno luce sugli inquietanti tratti di un giovane che per il suo 21/mo compleanno si era 'ragalatò una pistola con il denaro ricevuto dai genitori. Adesso è rinchiuso in una cella in totale isolamento nel carcere di massima sicurezza a Charleston, dove è stato riportato dopo l'arresto in North Carolina. Sono nove i capi di accusa imputati a Dylann Roof, da omicidio aggravato a possesso di armi da fuoco.

«Ti perdoniamo, ma pentiti». Lo hanno detto alcuni familiari delle vittime della strage di Charleston rivolgendosi al killer collegato in video alla prima udienza in tribunale.

Già oggi la prima udienza dei giudici. La tensione è di nuovo alta negli Stati Uniti dove tornano al pettine molti dei nodi che dividono il Paese. Intanto ci si chiede se un gesto del genere non sia ormai da considerare come un vero e proprio atto terroristico, al pari di quelli attribuiti ad estremisti islamici ispirati dall'Isis. E poi c'è la pena di morte: un rischio concreto per l'assassino della Emmanuel African Methodist Episcopal Church, già invocata dal governatore del South Carolina, Nikki Haley. E se il presidente Barack Obama oggi torna a parlare della strage di Charleston come «un evento scioccante che ci ricorda che abbiamo ancora molta strada e molto lavoro da fare», con chiaro riferimento alle politiche sull'accesso alle armi nel Paese su cui già ieri era tornato ad alzare la voce, la first lady Michelle Obama - dall'Italia dove si trova in visita - ha ribadito il messaggio: «Parlando con mio marito sappiamo che essere vicino alle famiglie colpite da tragedie come quella di Charleston non è sufficiente. Ci auguriamo e facciamo di tutto perchè tragedie simili non avvengano più». Mentre c'è già chi invece si espone per riaffermare il diritto al possesso di armi: la Nra, potente lobby delle armi, non commenta ufficialmente la strage di Charleston ma uno dei suoi leader, Charles Cotton, ha attribuito al reverendo morto nell'attacco responsabilità per la strage: «Otto persone sarebbero ancora vive se avesse permesso di portare le pistole in chiesa. Innocenti sono morti a causa della sua posizione su una questione politica».  Intanto negli Stati Uniti, per l'ennesima volta, si organizzano veglie, preghiere collettive, minuti di silenzio in rispetto e in ricordo delle vittime, i cui nove 'ritratti di normalità sono la più chiara testimonianza dell'ennesimo folle gesto.

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