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Caso Marò, Italia perde la pazienza: si va verso l'arbitrato

NEW DELHI. Il governo di Matteo Renzi ha perso la pazienza. E dopo oltre un anno di tentativi diplomatici con l'India per riportare a casa i due marò, getta la spugna e decide di portare il caso davanti ad un tribunale internazionale. Un'ipotesi, quella dell'arbitrato, da tempo sul tavolo ma che ora sembra prendere corpo. Sul dossier le bocche restano cucite - «non commento le indiscrezioni», si è limitato a dire il capo della Farnesina, Paolo Gentiloni - ma fonti governative non smentiscono le voci rimbalzate oggi sulle colonne del Corriere della Sera, che dà ormai per presa la decisione. Le stesse fonti parlano di «ipotesi» all'esame ma la strada, dopo tre anni di impasse, sembra segnata. Anche alla luce dei ripetuti rinvii dei tribunali indiani, dell'arenarsi della proposta di mediazione diplomatica italiana al governo di Delhi e - si fa notare in ambienti governativi - in base alle valutazioni fatte dal team di avvocati internazionali che segue il caso per conto dell'Italia.

Un passo, quello del ricorso all'arbitrato internazionale, che dovrà stabilire dove saranno processati i due Fucilieri di Marina (in Italia o in India) per la morte dei due pescatori del Kerala, i cui dettagli restano tutti da capire. A cominciare dalla tipologia di arbitrato che il governo, nel caso, deciderà di perseguire. Le opzioni - secondo gli esperti di diritto internazionale - sarebbero due: l'arbitrato classico e quello «obbligatorio» previsto dalla Convenzione sul Mare e in capo al Tribunale di Amburgo. Strade che comporterebbero - almeno secondo il parere degli esperti - tempi e procedure diverse. Nel primo caso, quello classico, servirebbe come presupposto il consenso dell'India. Non solo all'arbitrato ma anche alla costituzione e alle regole di funzionamento del collegio arbitrale. Ipotesi che - viste le difficoltà ad interagire con Delhi in tempi brevi e con risposte certe - comporterebbe tempi lunghissimi.

«Ci vorrebbero anni», fa notare Angela del Vecchio, ordinario di diritto internazionale alla Luiss ed esperta della vicenda dei marò. La seconda strada sarebbe invece più veloce e snella: il ricorso unilaterale al Tribunale del Mare, che può anche agire in 'contumacià e prendere 'decisioni temporaneè come quella di trasferire, nel frattempo, Salvatore Girone e Massimiliano Latorrre in un Paese terzo, consentendo loro di lasciare l'India. E che quindi potrebbe portare a qualche evoluzione «già in 4-5 mesi», si fa notare.  Al di là della scelta dello strumento con cui procedere, di certo a Roma si è persa la pazienza. Quella proposta di mediazione diplomatica, tentata un anno fa da Renzi proprio all'inizio del suo mandato e presentata anche nella speranza che il nuovo esecutivo indiano guidato da Modi potesse dare una scossa alla vicenda, non ha dato i suoi frutti.

E solo pochi giorni fa da Delhi è rimbalzata come un macigno la notizia di un altro - l'ennesimo - rinvio della giustizia indiana, che ha fatto slittare al 7 luglio l'udienza per discutere della giurisdizione su ricorso italiano. Altri tre mesi, di fatto, di inutile attesa per Salvatore Girone, rimasto 'solò a Delhi nell'ambasciata d'Italia in attesa da oltre tre anni di novità. Ma anche per Massimiliano Latorre: Delhi gli ha concesso un ulteriore proroga, la terza, per la convalescenza in Italia dopo l'ictus che lo ha colpito in India. Il suo rientro a Delhi è slittato così al 15 luglio, ma difficilmente potrà beneficiare di ulteriori proroghe.  E il caso, ancora una volta, diventa anche politico. L'opposizione è scesa in campo con gli azzurri Maurizio Gasparri ed Elio Vito, che pur riconoscendo come «giusta» la strada dell'arbitrato stigmatizzano il fatto di aver «dovuto constatare che anche questa decisione la si debba apprendere dai giornali e non venga comunicata nelle sedi istituzionali proprie». Anche Pierferdinando Casini, presidente commissione Esteri del Senato, pensa «sia giusto che il Governo chiarisca nelle commissioni parlamentari quale strada intende intraprendere. È già prevista per giovedì l'audizione del ministro Gentiloni, in quella sede auspico risposte», afferma. Più dura la posizione dei M5s: «Se la notizia venisse confermata, sancirebbe il fallimento politico di un esecutivo che solo qualche mese fa aveva parlato di 'soluzione politicà. Peccato ci si svegli sempre troppo tardi», attaccano i deputati del movimento nelle Commissioni Esteri e Difesa.

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