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Tirinnanzi: «Lo stato islamico resiste al cambio dei leader»

«Cambia poco, tra Abu Bakr al-Baghdadi e Abu Ala al Afri. Lo Stato Islamico, che ha sferrato importanti operazioni militari anche in queste settimane di transizione, dimostra di avere una catena di comando ben strutturata e una propria solidità organizzativa. Così, purtroppo, l’Isis può andare avanti a combattere ancora per lungo tempo!».

Per Luciano Tirinnanzi, direttore della rivista di geopolitica e sicurezza internazionale «LookOutNews.it», è adesso più evidente il salto di qualità che il «Daesh» ha saputo realizzare nella galassia jihadista: «È decisamente ben altra cosa — esclama Tirinnanzi — rispetto a gruppi come al Qaeda, che si sono sfaldati con l’eclissarsi del proprio leader».

Dopo mesi di mistero sulla sorte di Abu Bakr al-Baghdadi, ferito in un raid aereo statunitense a marzo, il quotidiano britannico «The Guardian» rivela che il califfo è stato sostituito "per ragioni di salute". Chi è Abu Alaa al-Afri?

«Non lo scopriamo certo oggi, perché nel Consiglio della Shura (uno degli organismi di governo dello Stato Islamico, ndr) già si occupava di indottrinamento e della corretta esecuzione della Sharia (la legge coranica, ndr) nei confronti delle donne. Questo, comunque, era solo un titolo. Più facile credere che la sua fosse una carica militare, non civile, e che quindi avesse voce in capitolo sulla gestione dei territori in Siria e Iraq».

Il neo-califfo è stato il numero uno di al Qaeda in Iraq. La temuta fusione tra i due gruppi terroristici, che potrebbe dare vita a una sorta di Internazionale dell'Orrore, è adesso più vicina?

«Questa è una certezza, o quasi. Anche se non abbiamo conferme, sembra ormai scontato che al-Zawahiri, il successore di bin-Laden, abbia sciolto al Qaeda con una lettera inviata alle cellule dell’organizzazione nel mondo in cui diceva che erano libere di confluire in altre formazioni jihadiste. Di fatto, è un via libera perché tutti confluiscano nello Stato Islamico com’è avvenuto in Siria con Jabhat al-Nusra, che in quel territorio è il gruppo militarmente più forte. Tutto ciò, ovviamente, non promette nulla di buono».
Al-Afri viene descritto come un seguace del siriano Abu Musaab al-Suri, che ispirò gli attentati di Madrid nel 2004. Una minaccia in più per l'Europa?

«Per un terrorista che deve fare carriera, compiere attacchi in Occidente è un passaggio obbligato nel curriculum. O, almeno, questa è la vecchia logica di al Qaeda. Oggi, invece, sembra molto più interessante notare che la nuova dirigenza dello Stato Islamico è quasi interamente irachena».

Cioè?

«Mentre cresce il numero di volontari in arrivo da tutto il mondo, si parla infatti di 6 o 7 mila foreign fighters al mese, l’Isis dimostra di volere puntare tutto sull’Iraq. La Siria, d’altronde, è sotto il controllo del Califfato. Ormai, rischia la stessa Damasco».

Tra Mosul e Raqqa, quindi, il Califfato resiste alla controffensiva della coalizione internazionale. Un conflitto senza fine?

«S’era parlato di una grande campagna di primavera per la riconquista di Mosul, ma a oggi non si vede nulla di tutto questo. Intanto, si continua a combattere attorno alla raffineria di Raiji che è la più grande dell’Iraq e a Tikrit esistono ancora sacche di resistenza. Insomma, non vediamo alcuna cavalcata trionfale verso Mosul. La situazione, anzi, è estremamente volatile. Ci aspettano un’altra estate e un altro inverno di orrori».

L'Isis in Libia, invece, sembra avere perso la propria forza propulsiva. O piuttosto preferisce restare alla finestra, mentre prosegue la ”guerra dei due governi”?

«In Libia, l’Isis non è mai stato forte. Esistono gruppi che si affiliano, ma non sono direttamente collegati con al-Baghdadi o con al Afri. La guerra tra il governo di Tobruk e quello di Tripoli, però, fa sì che le milizie islamiste crescano. Oggi, possono essere sconfitte. Ma domani, tra i due litiganti ...»

Dal Paese del Caos continuano a partire migliaia di migranti, nordafricani e mediorientali. Molto fumo, poco arrosto, le misure decise dall'Unione Europea contro il racket dei barconi?

«Sono un palliativo, perchè per ora consistono soltanto in una iniezione di maggiori risorse nell’operazione Triton. Quando il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon con Matteo Renzi parla di ”soluzione politica per la Libia”, dimostra l’inefficacia delle Nazioni Unite. Se non l’inutilità. Bisogna, poi, aspettare giugno che si riunisca l’Onu perchè vengano autorizzate le incursioni europee contro i barconi. Si potrebbe fare molto di più e molto più velocemente».

In Nigeria, l'esercito ha appena liberato 234 donne e bambini che erano prigionieri dei miliziani islamisti di Boko Haram. Solo un episodio, o qualcosa di più?

«No, solo un episodio. Purtroppo, il governo nigeriano preferisce ancora negoziare e non schiacciare l’avversario. Il fenomeno, dunque, è destinato a durare per anni. Viene, allora, da pensare quanto sia opportuno che questi Stati rimangano tali. La Libia e la Nigeria, come tanti altri Paesi così divisi e diversi al proprio interno, non hanno forse il diritto di dividersi?».

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