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Nacera Benali: «Tunisia più forte del Califfato, la gente si mobilita contro l’orrore»

La giornalista algerina: «L’Isis dilaga grazie al caos creato dall’Occidente, ecco perché in Libia l’intervento militare è pericoloso»

«Noi algerini abbiamo vissuto più di dieci anni con attentati continui, ma lo Stato non ha ceduto perchè la gente s’è mobilitata. Altrettanto stanno facendo oggi i tunisini. E noi siamo solidali con loro, perchè ci siamo passati». Nacera Benali, corrispondente dall’Italia per il quotidiano di Algeri «El Watan», si dice certa che la strage al museo del Bardo non destabilizzerà la patria della «Rivoluzione dei Gelsomini». La marcia di Tunisi, ieri, ha peraltro rappresentato un’eloquente risposta alle mire del Califfato dell’Orrore: «Credo — afferma la giornalista, autrice del libro ”Scontro di Inciviltà” — che il massacro rivendicato dall’Isis non farà altro che rafforzare il governo tunisino. È d’altronde significativo come il leader del partito islamico Ennhada, che Ben Alì (presidente tunisino sino al 2011, ndr) aveva messo al bando, sia ora uscito in pubblico e abbia apertamente condannato la strage in modo molto duro. Non era mai avvenuto in precedenza!».

I timori restano. Sarà mai possibile arrestare del tutto la diffusione del «virus-Isis» in Nord Africa?

«Nelle situazioni di caos create dagli occidentali, i terroristi vanno a nozze. Prima dovevano cercare piccoli spazi per addestrarsi, ad esempio in Yemen o Somalia. Ora, hanno a disposizione territori enormi e incontrollati. Dall’Iraq sono tornati in Tunisia almeno cinquecento dei tremila volontari stranieri che hanno combattuto per il Califfato. E in un Paese grandissimo come la Libia i due autori della strage nel museo del Bardo hanno imparato a usare i kalashnikov».

A proposito di Libia. Fra Tobruk e Tripoli, non cessa la «Guerra dei due Governi». Per i terroristi di Isis e Al Nusra, sempre più spazio di manovra?

«Sì, purtroppo è così perchè si fa sempre più difficile il negoziato in corso tra Tobruk e Tripoli. Tutta la comunità internazionale, specialmente i Paesi vicini come l'Algeria, sperano molto in un esito diplomatico della vicenda libica. Noi incrociamo le dita perchè venga scongiurato un intervento militare estero in Libia. Complicherebbe una situazione già esplosiva, mettendo in pericolo anche chi ha migliaia di chilometri di confine con quel Paese come Algeria e Tunisia. L’inviato dell’Onu, Bernardino Leon, sta lavorando molto seriamente, ma ha detto che si rischia di compromettere tutto se, almeno in questa fase, non verranno deposte le armi. Io, però, sono scettica perchè i gruppi e i clan sul campo sono tanti e ognuno risponde per sé».

Tutto precipita, mentre l’Onu discute ancora di «soluzione politica» e proroga il mandato di Bernardino Leon?

«Alternativa non c’è. Meglio perdere qualche settimana in più per individuare una soluzione diplomatica, che forzare le cose. Un intervento da fuori non porterebbe la pace, creerebbe più caos e aumenterebbe la presenza di miliziani in Libia accrescendo pure i rischi per gli altri Stati dell’area. Noi abbiamo ancora il ricordo degli anni Novanta, la lunga stagione degli attentati e delle stragi. Gli algerini adesso temono che quella stagione possa tornare, dopo essere riusciti a sconfiggere il terrorismo. Ce l’abbiamo fatta, pur essendo stati lasciati soli da tutto il mondo».

Niente intervento militare. Neppure il blocco navale potrebbe servire a qualcosa?

«Gruppi come l’Isis non girano in mare, ma si muovono via terra. Provengono da Iraq e Siria, passando per l'Egitto dove esiste un deserto vastissimo che sfugge a ogni controllo. Non credo neppure che la giustificazione al blocco possa venire dall’esigenza di impedire il traffico illegale di petrolio. Il greggio passa al Nord, che è ancora controllato. Insomma, ritengo che quella soluzione sia soltanto un tentativo dei governi europei per ostentare all'opinione pubblica che qualcosa stanno facendo».

La «Rivoluzione dei Gelsomini» in Tunisia resiste, ma sembra comunque lontano il tempo delle Primavere arabe. Solo colpa dell'Occidente che, secondo alcuni studiosi, non vuole concedere spazio alle «democrazie islamiche»?

«Le Primavere arabe sono state fatte da chi la pensava proprio come gli occidentali. Purtroppo, sono stati ignorati e isolati perchè all'Occidente non interessa nulla della democrazia in Africa o Medio Oriente, ma solo avere una certa stabilità per continuare a chiudere affare in quei Paesi. Pensate, fra l'altro, a ciò che è avvenuto in Egitto dove un'ondata democratica laica, pulita, è stata repressa nel sangue da Mubarak e, poi, cavalcata dagli integralisti dei Fratelli Musulmani. Infine, per salvaguardare la sicurezza di Israele e i propri interessi, l'Occidente ha organizzato questa farsa che ha portato al potere un dittatore come al-Sisi».

Il Mediterraneo, sempre meno un mare per crocieristi. Se crolla il fatturato turistico, il Nord Africa e soprattutto la Tunisia saranno pericolosamente più poveri e instabili?

«Ogni estate, sulle spiagge tunisine vanno 10 milioni di algerini che non hanno smesso di vivere normalmente e di andare in vacanza pure quando gli attentati avvenivano nella propria patria. Non avranno, quindi, paura di quanto sta accadendo adesso. Ho visto una bella reazione alla strage del Bardo anche da parte degli europei, che hanno assicurato di voler continuare a recarsi in Tunisia: mi auguro che sia così. In quel Paese, intanto, cresceranno i livelli di sicurezza. Ad ogni modo, in questo momento tutto il mondo è un posto pericoloso».

Minacce planetarie. L’Isis annuncia di voler colpire luoghi-simbolo, come il Colosseo e il Big Ben. Chi ci salverà da lupi solitari e «fanatici della porta accanto»?

«Ci salverà la solidarietà, ma non quella degli occidentali contro i musulmani proposta oggi da certi partiti che fanno una propaganda anti-Islam molto sbagliata. Serve, piuttosto, unione e integrazione. Ai musulmani bisogna assicurare più rispetto, più diritti. Non offenderli e insultarli, come sta avvenendo in questi giorni in Italia. Così, si combattono i lupi solitari. È necessario, inoltre, tagliare conti correnti e flussi di denaro a certi gruppi. Noi lo dicevamo già negli anni Novanta, ma siamo rimasti inascoltati. L’esperienza algerina è importante, non va snobbata. Proprio nei giorni scorsi, peraltro, una delegazione italiana di esperti antiterrorismo s’è recata nel mio Paese per confrontarsi e chiedere consiglio ai loro omologhi».

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