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Ansalone: «Spietata guerra civile dopo l’annuncio del ritiro Usa»

Per il docente di Geopolitica all’Università La Sapienza «le frange talebane vogliono colpire la nuova leadership del Paese»

PALERMO. Nelle carni del Pakistan, a rendere meno oscuro e intestino, ma nello stesso tempo più lacerante, un conflitto civile sotto pelle da mesi. Ma pure, per gradi successivi, dentro il triangolo complicato dei rapporti con India e Afghanistan e anche mossa sanguinosa nello scacchiere internazionale, con gli Usa di Obama come bersaglio politico principale. E, ancora, la guerra mediatica con l’Isis, che fa alzare continuamente il «rumore» del terrore e la posta delle vittime. Questi i complessi nodi alla base dell’eccidio, per alcuni versi inaudito nel target come nelle modalità, di almeno 141 persone, delle quali circa 130 bambini e ragazzi fra i 10 e i 18 anni compiuto dai talebani dentro una scuola di Peshawar. A illustrarli e interpretarli, quei nodi, prova Gianluca Ansalone, docente di Geopolitica all’Università La Sapienza e presso la Società italiana di Organizzazione internazionale. Ansalone è stato consulente, fra l’altro, della Presidenza della Repubblica per l’Analisi internazionale e di sicurezza.

Ma «niente allarmismi generalizzati e generalizzanti, ogni azione è diversa dall’altra e si fonda su moventi strategici differenti», avverte Ansalone, mentre nelle stesse ore il terrorismo internazionale fa strage anche nello Yemen e l’ennesimo «lupo solitario», stavolta di origini iraniane, semina panico e due vittime in una cioccolateria di Sydney, in Australia. Con l’azione militare al crepuscolo, da parte degli Stati Uniti, è opportuno e necessario, a questo punto, secondo il docente, il «rilancio dell’azione diplomatica e della comprensione politica degli eventi». Un ruolo, quello di ricucitura, che «l’Unione europea non può perdere occasione di assumere».

Pakistani contro pakistani, giovani e inermi. Professore, proviamo a capirlo, questo massacro?

«In effetti l’azione, oltre a destare commozione e impressione nelle coscienze, è clamorosa e per alcuni versi con nessuno o pochi precedenti. Volutamente cruenta ben oltre i limiti del cinismo. Quali i quadri di riferimento, connessi tra loro? Primo, le dinamiche locali ormai drammatiche dello scontro interno per il mancato mantenimento degli impegni di riconciliazione nazionale presi in campagna elettorale dall’attuale premier nei confronti dei gruppi talebani delle aree tribali del nord del Paese. Sharif, in carica da sei mesi, aveva fondato parte del proprio consenso su promesse di pacificazione tese a inglobare frange talebane nel tessuto politico-sociale. Per i talebani le ha dimenticate, si sono sentiti traditi. Il bersaglio scelto desta molta impressione: la scuola, che dal punto di vista ideologico per i talebani, che riconoscono soltanto i propri istituti coranici, è stato sempre un obiettivo. Certo, mai si erano spinti a tanto. Ma non solo, e qui s’innesta il secondo scenario: nelle ultime settimane l’esercito regolare ha scatenato, insieme con i droni statunitensi, una controffensiva senza precedenti nelle regioni del nord e nelle sedi dei principali santuari talebani».

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