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Libia, ancora raid degli aerei italiani

Effettuata dai caccia italiani dotati di armamento di precisione per colpire "bersagli selezionati". Lo ha appreso l'Ansa da fonti della Difesa

ROMA. Ieri almeno due Tornado armati di bombe e due Eurofighter di scorta. Oggi altri due Tornado e due caccia F-16, decollati sempre da Trapani. Missioni delicate, quelle dei cacciabombardieri italiani sulla Libia, che ormai si susseguono con regolarità e che finora "sono andate a buon fine", rileva un portavoce della Nato.    Sui raid italiani il Governo e gli Stati maggiori continuano a mantenere il riserbo e restano dunque 'top secret' località, target ed esito. La Difesa rimanda alla Nato (sotto il cui comando operano gli aerei italiani) per eventuali informazioni, ma al quartier generale dell'operazione 'Unified Protector', a Bagnoli, ci si attiene alla regola consueta secondo cui non viene fornito alcun dettaglio "per nazionalità" sulle attività svolte. E' il Paese interessato, casomai, a dover parlare: è quello che avviene normalmente, ad esempio, per la missione Isaf in Afghanistan, anch'essa a comando Nato. Ma per la Libia la linea scelta è quella del silenzio.    Oggi, nel corso di una conferenza stampa alla base di Bagnoli sull'andamento delle operazioni in Libia, il generale Rob Weighill, sottocapo di Stato maggiore di Unified Protector, alla giornalista che gli chiedeva particolari sui raid italiani ha dunque ribadito di non poter dare informazioni sul numero e sulla posizione degli obiettivi colpiti, ma ha sottolineato che "nell'ultima settimana l'Italia ha partecipato ad attacchi che sono andati a buon fine. Gli interventi aerei italiani - ha aggiunto - hanno portato grandi benefici alle operazioni. Siamo grati all'Italia per ciò che ha fatto fin dall'inizio delle operazioni, sia con la no fly zone sia con l'embargo".   


Se poi si consulta l'aggiornamento quotidiano che la Nato pubblica anche su internet, si vede che dall'inizio delle operazioni (il 31 marzo) le sortite aeree compiute dai velivoli della coalizione sono state in tutto 4.242, di cui 1.766 sono classificate come 'strike sorties', cioé missioni finalizzate ad 'identificare ed ingaggiare' gli obiettivi, anche se non necessariamente vengono sganciati missili o bombe.    Ieri le sortite sono state complessivamente 142, di cui 67 'strike sorties', comprese quelle compiute dai Tornado Ids italiani, che devono essersi necessariamente diretti verso una delle tre località in cui - secondo quanto informa la Nato - si trovavano gli obiettivi designati e che risultano essere stati 'neutralizzati': le vicinanze di Tripoli (i target erano un centro di comando e controllo, un posto di manutenzione elicotteri, 7 depositi di munizioni, 5 veicoli da combattimento); Zenten (un deposito di munizioni); le vicinanze di Brega (un centro di comando e controllo). Tutti target che i Tornado italiani sono in grado di distruggere con l'armamento di precisione in dotazione: i missili Storm Shadow, le bombe Gbu-32 Jdam a guida gps e le Gbu-16 Paveway a guida laser.    Armamento sì di precisione, ma anche molto costoso, viene sottolineato da chi in questi giorni ha tentato di calcolare quanto incide sull'erario la missione bellica in Libia. La risposta arriva dal sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto: il costo dell'impegno italiano è di "150 milioni di euro in tre mesi", quanto "il deficit di alcune Asl italiane", ha detto da Cape Canaveral, dove si trova per il lancio dello shuttle. E il cambio di utilizzo dei Tornado, equipaggiati ora con missili e bombe, "non aggrava molto dal punto di vista economico. L'ultima decisione non è quindi un problema economico, ma politico", ha aggiunto Crosetto, sottolineando che la politica estera di un Paese "non può essere dettata dai costi". Sarebbe "un atteggiamento di totale miopia".

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