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Creazioni che fanno storia La Sicilia attraverso gli abiti

Gli stilisti Lucrezia De Rosa e Marco Orestano prendono l’ispirazione da vecchi disegni e tradizioni ancora vive

PALERMO. C’è tanta cultura e tanta Sicilia nelle creazioni di Lucrezia De Rosa e Marco Orestano. Più che di osservare una sfilata di moda, sembra di sfogliare un libro di storia delle elementari, di quella storia, ricca e affascinante, di cui è protagonista l’Isola e a cui la loro linea, Gli ori della Sicilia, rende omaggio. Una stilista di abiti da ballo e un maestro orafo, entrambi palermitani, che si nutrono di ispirazioni edotte.
«Prendiamo spunto – spiegano - dagli eventi storici che partono dai Fenici che fondarono Panormus, continuano con i Cartaginesi, i Greci che diedero vita ad Akragas, l'attuale Agrigento, e Siracusa, per poi passare sotto il dominio romano prima, bizantino dopo e quindi l'avvento degli Arabi e la successiva dominazione normanna, e ancora agli Angioini e agli Aragonesi fino all'Unità di Italia. Il lungo cammino che ha reso la Sicilia una forgia dove arte, cultura, religioni, architetture e stati sociali si sono fusi nel tempo, dando vita ad un crogiuolo unico nel suo genere, una stratificazione continua che ha plasmato la nostra terra rendendola così come la conosciamo oggi».
È questo lungo preambolo culturale che, nella realtà, si trasforma in abiti e accessori di nicchia che non inseguono il trendy ma che, influenzati dagli effetti scenici del mondo delle gare da ballo, si trasformano in ornamenti senza tempo ascrivibili ad atmosfere greche o romane. Tessiture d'argento che diventano nasse da «piscaturi» con il loro pescato, pale di ficodindia che vestono il corpo di una donna, il lavoro all'uncinetto delle madri e delle nonne, usato come bracciale o sottoveste degna di una «fuitina d’amore» che racconta i tempi passati.
L’albero d’ulivo che fa da stelo ad un anello ed incrocia un'Ambra del Simeto. Mattanza, invece, è la collana che scivola nella rete che avvolge l’abito, mentre la «Morte rù pisci spada» è una spilla. «Santa Rosalia» è in tunica bianca lavorata con tanto di «babbalucio» appeso.
È ispirato alla Sicilia, stavolta delle tradizioni artigiane, il lavoro di Rosa Fortunato. Noto è il suo abito, della collezione Girasole, che imita nelle forme e nei colori la porcellana di Caltagirone, il comune in cui è nata negli anni Cinquanta e a cui il suo stile, essenziale e compassato, si rifà. Le tinte, invece, sono un’iniezione di entusiasmo con il particolare accostamento tra giallo e il blu che la rappresentano in modo particolare. «Mi ispiro ai miei ricordi – spiega – «allu scrusciu», e cioè al rumore della creta che sporcava le vecchie mani e che mi pare ancora di sentire. All’età di dodici anni ho iniziato a cucire, a tredici sono entrata all’istituto Le Grande Chic di Bologna. Tra gli insegnamenti di sagge forbici capii che i fiori erano le mie spine. L’infanzia o il lascito culturale erano dentro di me, Caltagirone era dentro di me. Oggi tento di riportare e di riscoprire attraverso stoffe, ricami e merletti quello che in Sicilia è stato ed è ancora oggi sinonimo di buon gusto e maestranza, l’arte della ceramica».

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