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Papa Francesco: non siamo oggetti da consumare né merce di scambio ma il popolo di Dio

Papa Francesco

CITTA' DEL VATICANO. "La perdita dei legami che ci uniscono, tipica della nostra cultura frammentata e divisa, fa sì che cresca questo senso di orfanezza e perciò di grande vuoto e solitudine". Lo ha detto Papa Francesco rilevando che "l'orfanezza spirituale ci fa perdere la memoria di quello che significa essere figli, essere nipoti, essere genitori, essere nonni, essere amici, essere credenti. Ci fa perdere la memoria del valore del gioco, del canto, del riso, del riposo, della gratuità".

Occorre dunque uscire dalla "corrosiva malattia della orfanezza spirituale", la malattia del narcisista, definita dal Papa un "cancro". Occorre prendersi cura degli altri come fa Maria e come fanno le madri. "Una società senza madri sarebbe una società senza pietà, che ha lasciato il posto soltanto al calcolo e alla speculazione". E Maria ha insegnato che "l'umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti" e "non c'è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti".

Il pontefice ha sottolineato che «un tale atteggiamento di orfanezza spirituale è un cancro che silenziosamente logora e degrada l'anima. E così ci degradiamo a poco a poco, dal momento che nessuno ci appartiene e noi non apparteniamo a nessuno: degrado la terra perchè non mi appartiene, degrado gli altri perchè non mi appartengono, degrado Dio perchè non gli appartengo».

"Non siamo oggetti di consumo nè merce di scambio ma siamo invitati a prenderci cura gli uni degli altri e insieme della casa comune". Lo ha detto il Papa nell'omelia. «Celebrare la festa della Santa Madre di Dio - ha sottolineato il Papa - ci fa spuntare di nuovo sul viso il
sorriso di sentirci popolo, di sentire che ci apparteniamo; di sapere che soltanto dentro una comunità, una famiglia le persone possono trovare il 'clima', il 'calore' che permette di imparare a crescere umanamente e non come meri oggetti invitati a
'consumare ed essere consumatì. Celebrare la festa della Santa Madre di Dio ci ricorda che non siamo merce di scambio o terminali recettori di informazione. Siamo figli, siamo famiglia, siamo popolo di Dio. Celebrare la Santa Madre di Dio ci spinge a creare e curare spazi comuni che ci diano senso di appartenenza, di radicamento, di farci sentire a casa dentro le nostre città, in comunità che ci uniscano e ci sostengano».

«L'umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti» e «non c'è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti». Lo ha detto Papa Francesco nell'omelia della messa oggi dedicata alla Madre di Dio. «Nei Vangeli Maria appare come donna di poche
parole, senza grandi discorsi nè protagonismi - ha sottolineato il pontefice - ma con uno sguardo attento che sa custodire la vita e la missione del suo Figlio e, perciò, di tutto quello che Lui ama».

«Maria - ha aggiunto il pontefice - ci ha dato il calore materno, quello che ci avvolge in mezzo alle difficoltà; il calore materno che permette che niente e nessuno spenga in seno alla Chiesa la rivoluzione della tenerezza inaugurata dal suo Figlio. Dove c'è una madre, c'è tenerezza. E Maria con la sua maternità ci mostra che l'umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, ci insegna che non c'è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti».

«Le madri sono l'antidoto più forte contro le nostre tendenze individualistiche ed egoistiche, contro le nostre chiusure e apatie. Una società senza madri sarebbe non soltanto una società fredda, ma una società che ha perduto il cuore, che ha perduto il 'sapore di
famiglià». Lo ha sottolineato Papa Francesco aggiungendo che «una società senza madri sarebbe una società senza pietà, che ha lasciato il posto soltanto al calcolo e alla speculazione. Perchè le madri, perfino nei momenti peggiori, sanno testimoniare la tenerezza, la dedizione incondizionata, la forza della speranza».

«Ho imparato molto da quelle madri - ha riferito Papa Francesco - che, avendo i figli in carcere o prostrati in un letto di ospedale o soggiogati dalla schiavitù della droga, col freddo e il caldo, con la pioggia e la siccità, non si arrendono e continuano a lottare per dare loro il meglio. O quelle madri che, nei campi-profughi, o addirittura in mezzo alla guerra, riescono ad abbracciare e a sostenere senza vacillare la sofferenza dei loro figli».

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