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Ex Pip, i troppi silenzi indecenti

Chissà dove sono finite le anime belle... Ce lo chiedevamo ieri in prima pagina, commentando la scandalosa notizia degli 85 ex Pip «ricconi» pescati all’interno di un bacino di precari che avrebbero dovuto avere il timbro della sostanziale indigenza. Fino al caso limite del titolare di un reddito annuo di 350 mila euro e un patrimonio personale ultramilionario. Un po’ speranzosi, un po’ coscienziosi, pensavamo che sarebbe bastato attendere 24 ore, dare il tempo a tutti di leggere la notizia sul giornale e poi sarebbero fioccate le reazioni di sdegno e condanna. Ventiquattro ore dopo, stiamo ancora aspettando. Passati dalla speranza all’illusione, dalla coscienza alla consapevolezza: «Avevamo ragione nel proporre un tetto al reddito» urla il Movimento 5 Stelle, l’unico che aveva additato un sistema quanto meno equivoco. Chiede misure severe la Cisl. Tutti gli altri preferiscono il silenzio. Ecumenico e - ahiloro! - fin troppo eloquente. Le anime belle, già... Quelle che ogni volta che la questione del precariato siciliano finisce sulle cronache, si affrettano a sbandierare il vessillo dell’anti «macelleria sociale», motto ben caro alla politica di vecchio stampo clientelare, quando c’è da difendere privilegi da essa stessa garantiti.
Non una voce di maggioranza, non una voce di opposizione ieri si è udita contro questo ennesimo scandalo dai troppi colpevoli. E non ci si venga a parlare solo di un caso. Non ci crediamo più. La politica - esclusi i grillini, politici sui generis - tace e ammette così le sue colpe. I sindacati della difesa corporativa tacciono - Cisl esclusa - e così riconoscono la loro connivenza col sistema. Gli stessi ex Pip che sfilano per le strade e protestano mostrando le tasche vuote, tacciono davanti agli «infiltrati» che li danneggiano e così ne garantiscono la copertura. Per un sistema che già marcio appariva nel silenzio dell’inconsapevolezza e che ancor più marcio è oggi davanti al sospetto fattosi certezza.
Del resto, la genesi e lo sviluppo del bacino degli ex Pip è metafora di un sistema che confonde - volutamente - assistenzialismo con clientelismo. Questi precari hanno goduto di percorsi e privilegi non garantiti ad alcun diplomato o laureato o «amico di nessuno». È povera gente, senza un reddito per sfamare le famiglie, si diceva. Sono ex detenuti ai quali va garantita una possibilità di riscatto, si esclamava. Qualcuno ha barato. E nessuno ha ancora pagato per questo. Protetto dal silenzio di ieri e di oggi.
La lama dell’attuale governo regionale sta ora provando a squarciare quel velo e merita solo per questo pieno sostegno. Il nostro c’è, quello dell’opinione pubblica ne siamo certi. Quello di chi negli anni ha avallato il sistema invece no. Ma è quel sistema che va minato alla base. E non ci sono dentro solo gli ex Pip. Quei controlli, accurati e capillari, vanno estesi a tutti, ai precari negli enti locali, ai forestali, ai nascenti cantieri di servizio. A garanzia e tutela di chi un diritto a quel posto lo ha maturato rispettando le regole (e sono tanti, beninteso). La parte insana della politica siciliana ha costruito i suoi successi sulle clientele figlie del bisogno e con robuste sponde nel sindacato. Ma quando di mezzo non c’è più neanche il bisogno reale, lo scandalo si fa pura vergogna. Indecente quanto certi silenzi.
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