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Fiat fuori da Confindustria: finale di partita non certo inatteso

Un divorzio che somiglia ad un crac per l'intera industria italiana. Atteso, annunciato, ma non per questo meno significativo. L'intero gruppo Fiat dal primo gennaio, uscirà da Confindustria. La notizia è stata messa nero su bianco da Sergio Marchionne, in una lettera inviata ad Emma Marcegaglia. «Ti confermo - scrive il manager italocanadese - che, come preannunciato il 30 giugno, Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria con effetto dal 1 gennaio 2012».



Un finale di partita non certo inatteso. Tuttavia dimostra che ormai la rottura fra il Lingotto e l'Italia è profonda. Tanto più che il mercato interno continua a lanciare segnali negativi. Ieri un altro calo di immatricolazioni del 5,7%. La Fiat ha perso il 3% e il calo sarebbe stato più corposo senza il boom delle nuove Jeep fabbricate a Detroit. Un riflesso del «boom» del gruppo negli Usa: Chrysler ha venduto il 27% in più dell'anno scorso. Una galoppata iniziata diciotto mesi fa e mai interrotta.
Perché allora puntare sull'Italia? È vero che a Mirafiori a partire dal 2013 verrà prodotto un nuovo Suv della Jeep e a Pratola Serra un nuovo motore Alfa. Briciole nel panorama di un gruppo che conta 189 stabilimenti in tutto il mondo e un fatturato che si aggira sui 100 miliardi? La chiusura di Termini e dello stabilimento Iveco ad Avellino confermano, purtroppo, la sostanza della smobilitazione.



La rottura con la Marcegaglia è il simbolo: «Una Confindustria che fa politica non ci interessa». Una presa di distanza rispetto alle scelte consociative di viale dell'Astronomia. «Stiamo valutando la possibilità di collaborare, in forme da concordare, con alcune organizzazioni territoriali e in particolare con l'Unione Industriale di Torino. Da parte nostra - prosegue Marchionne - utilizzeremo la libertà di azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni legislative. I rapporti con i nostri dipendenti e con le organizzazioni sindacali saranno gestiti senza toccare alcun diritto dei lavoratori, nel pieno rispetto dei reciproci ruoli, come previsto dalle intese già raggiunte per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco».



Il passaggio spiega le ragioni della rottura: il depotenziamento dell'articolo 8 sulla contrattazione e sul licenziamento, su cui secondo Marchionne le posizioni di Confindustria si sono eccessivamente addolcite. Per Maurizio Sacconi, padre dell'articolo 8 applaude: «Mi sembra che se ne voglia sottolineare l'importanza». Anche il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, guarda alla sostanza. I sindacati, spiega, non «hanno voce in capitolo» sul divorzio tra Torino e la Confindustria. «Ci riguardano e ci interessano molto, invece, le decisioni su Mirafiori e Pratola Serra. Queste scelte rientrano nel rispetto dei patti sottoscritti con Fiat».



Sulla stessa linea Raffaele Bonanni, leader della Cisl: «Mi dispiace per la decisone assunta, anche se apprezziamo la conferma del piano di investimenti, era quello che volevamo: la costruzione di nuove auto a Mirafiori e quella di un nuovo motore ad Avellino».
Certo viale dell'Astronomia non impoverirà per il divorzio da Marchionne. Fiat rappresenta in Confindustria in termini di addetti lo 0,8% dell'intero sistema, mentre in termini contributivi pesa per l'1%, pari a 5 milioni di euro. Per la Marcegaglia resta l'offesa di una grave sconfitta sul piano politico: senza la Fiat chi darà ancora peso alle parole di Confindustria? «Le motivazioni in base alle quali Sergio Marchionne ha deciso l'uscita del Lingotto non stanno in piedi dal punto di vista tecnico», ha affermato la Marcegaglia, a margine dell'assemblea degli industriali di Bergamo.



Resta il problema: Confindustria, senza più la Fiat, sarà l'associazione delle aziende pubbliche o comunque controllate dallo Stato: Poste, Ferrovie, Enel, Finmeccanica, Eni, Enel. E le aziende private? Residuali.

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