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Le religioni e i suicidi

La notizia di cronaca è che in Tunisia e in Egitto, con una preoccupante escalation, si verificano casi di persone che si danno fuoco per protestare contro la mancanza di lavoro. A noi però - senza per nulla voler sminuire la gravità di questo contesto - interessa, in questa sede, rilevarne un elemento in sé marginale, ma che ci sembra meriti una specifica attenzione. Ed è che, di fronte a questi tragici episodi, il portavoce di Al Azhar, il più importante centro teologico del mondo sunnita, ha ricordato che l'Islam proibisce "categoricamente" il suicidio per qualsiasi motivo.
Non si tratta di una novità. Nel Corano si parla solo una volta dell'atto di togliersi la vita, ed è per vietarlo. Il versetto 29 della sura 4, intitolata: "Sura delle donne", dice: "O voi che credete, non consumate fra voi i vostri beni vanamente, ma piuttosto vi sia un traffico di comune accordo, e non uccidete voi stessi; Dio certo sarà con voi clemente".
L'attualità di questa prescrizione coranica e il richiamo ad essa fatto da Al Azhar va ben oltre i tristissimi episodi verificatisi in questi giorni in Tunisia e in Egitto. La mente non può non andare al fenomeno dei combattenti suicidi, i cosiddetti kamikaze, che ha caratterizzato in questi ultimi decenni la contrapposizione tra il mondo islamico e quello occidentale e che continua a pesare come un incubo ogni volta che si riaccendono le tensioni.
Ebbene, l'Islam non ammette che ci si uccida, nemmeno per colpire i nemici. Anche nell'ottica coranica, come in quella evangelica, è inammissibile definire "martiri" (letteralmente, in greco: "testimoni") uomini e talora anche donne, che, nell'illusione di testimoniare così la loro fede, distruggono deliberatamente la propria vita.
Vero è che nell'Islam è promesso il paradiso a chi è disposto a lasciarsi uccidere per la fede, ma questo è molto diverso che togliersela da sé. Anche il cristiano ha - o dovrebbe avere - la stessa disponibilità a dare tutto, perfino la propria vita, per la causa di Dio. Da questo punto di vista è triste che il senso di stupore e di scandalo che molti "cristiani da messa domenicale" provano, di fronte ai kamikaze islamici, nasca non tanto dal suicidio-omicidio, quanto dallo spettacolo, per loro incomprensibile, di questa disponibilità. E ci sarebbe da chiedersi cosa accadrebbe se, da noi, come nei primi tempi del cristianesimo, si fosse di nuovo chiamati a scegliere tra la vita e la fedeltà alla propria fede…
Qualcuno osserverà che comunque nell'Islam c'è una carica aggressiva - espressa nel concetto di Jihad, la "guerra santa" - che nel cristianesimo è del tutto assente. Nella stessa tradizione dell'AT, molto più vicina alla concezione che poi sarà ripresa da Maometto, non c'è traccia dell'idea che si debba fare prevalere la propria fede sulle altre con la guerra. Gli Ebrei erano bellicosissimi, ma le loro guerre furono combattute per conquistare la terra promessa e conservarla pura da contaminazioni straniere, non per dimostrare la superiorità di Jahvè. Quanto al Vangelo, esso propone un ideale di non-violenza così radicale che spesso gli stessi cristiani non sono stati capaci di adeguarvisi. Anche se "porgere l'altra guancia" non significa certo, nemmeno in bocca a Gesù, rinunziare a far valere le proprie ragioni.
Anche le crociate, che vennero combattute - e sanguinosamente - in nome della fede, non furono mai giustificate come "guerra santa" per dimostrare che il cristianesimo era la vera religione, ma solo nel senso molto più modesto e contingente di conquistare i luoghi santi, per averne il controllo e permettere ai cristiani di farvi indisturbati i loro pellegrinaggi, in un'epoca in cui a questo si attribuiva un'importanza incomparabilmente superiore a quella che le si riconosce oggi.
Resta dunque una differenza di prospettive - se non sul suicidio, sulla lotta religiosa - fra Islam e cristianesimo. Ma è davvero insuperabile? Le religioni sono messaggi calati nella storia e suscettibili di interpretazioni sempre più mature e approfondite in rapporto agli eventi e alla crescita della coscienza diffusa dei loro seguaci. A leggere la Bibbia - cosa che i cristiani di solito si guardano bene dal fare - , si incontrano espressioni che, sia pure non nella prospettiva della "guerra santa", sono di una violenza inaudita. Il modo in cui il comando divino è stato compreso e riportato, nell'AT, sembra giustificare lo sterminio dei nemici - uomini, donne, bambini - in nome della necessità di non mescolarsi con popolazioni idolatriche. Oggi noi siamo in grado di contestualizzare questi testi e di capire che si riferiscono a una complessiva situazione culturale in cui una esigenza giusta - la fedeltà all'unico Dio - veniva però espressa secondo le categorie ancora barbariche degli uomini di quel tempo. E ci sono, nella Rivelazione tanti altri testi che aiutano a compiere questa rilettura.
Perché non dovrebbe accadere qualcosa di simile nell'Islam? La sua storia è stata molto diversa e, anche per colpa nostra, dei cristiani (si pensi al colonialismo), è ancora oggi appesantita da una carica di risentimento e di rivalsa che non sarà facile superare. Ma i punti di appoggio per una evoluzione ci sono, già nel Corano - come dimostra il caso del suicidio - ed è bene che anche noi, non solo i musulmani, ne prendiamo coscienza e partiamo da essi per costruire una sempre maggiore intesa nel futuro.

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