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Obama, la riscossa politica parte dalla sanità

La notizia della morte politica di Barack Obama era grandemente esagerata. E come minimo prematura. Pressappoco all'ora in cui gli strateghi dell'opposizione repubblicana più intransigente si aspettavano di celebrare il suo funerale politico, il presidente democratico festeggiava assieme ai suoi più stretti collaboratori il "passaggio" della sua prediletta riforma sanitaria, il progetto che avrebbe potuto o dovuto rovinargli il primo quadriennio di presidenza o addirittura costargli la rielezione.
Invece eccolo più vivo che mai, a brindare dopo un recupero parlamentare insostituibile quanto tormentato. Un'intera giornata di reclusione per i deputati nell'aula della Camera di Washington, una maratona di votazioni e dibattiti, un fuoco di fila di una opposizione mai così compatta, accompagnata da dimostrazioni ostili tutt'attorno all'edificio del Congresso, preannunci di "nullificazione" da parte degli Stati se non addirittura di impeachment, "scomuniche" politiche, economiche e religiose, accuse ribadite di voler mandare in bancarotta l'America per sostituirla con una "repubblica sovietica".
Schermaglie procedurali senza fine, uno stillicidio di quattrocento dichiarazioni di voto; ma quando si è arrivati alla conta decisiva, 219 "sì" contro 212 "no" alla "riforma sanitaria Obama" e, di conseguenza, un rilancio della sua presidenza. Euforia fra i suoi collaboratori, probabilmente esagerata e prematura anch'essa, ma certamente una inversione di tendenza. Barack Obama è certamente molto meno popolare che non nella giornata inaugurale del suo potere, ma il suo declino si è arrestato prima del "punto di non ritorno". Una volta firmata la "riforma della salute Usa", l'uomo della Casa Bianca potrà finalmente dedicarsi ad altri temi che la maggioranza degli americani considera più urgenti, in primo luogo l'economia e la disoccupazione. Problemi cui egli promette soluzioni meno ambiziose ma anche per questo meglio accette.
Non avevano torto coloro che lo avevano sconsigliato dal puntare tutto su una carta che non era un asso, consumando gran parte della popolarità iniziale, presentando un bersaglio particolarmente vulnerabile all'opposizione e quasi invitando i repubblicani a coagularsi dopo la sconfitta del novembre 2008 attorno alla fazione più estrema e intransigente, quella che si proponeva di conquistare il Congresso attraverso la "piazza": le adunate, le denunce, la strategia della "delegittimazione".
Curiosamente, l'uomo che aveva condotto una campagna elettorale magistrale per accortezza aveva invece debuttato da presidente in modo ingenuo, spericolato e timido al tempo stesso, come se fosse impreparato alla gestione della vittoria. Per oltre un anno Obama è stato costretto alla difensiva in una situazione di contrapposizione frontale che gli ha guastato la tradizionale "luna di miele" di un nuovo presidente, attizzando così nel Partito Repubblicano la tentazione dello scontro frontale che ha paralizzato, almeno temporaneamente, le grandi capacità di "proposta alternativa" di quello che da decenni ormai è il "partito delle idee".
È presto, naturalmente, parlare di inversione di tendenza. La battaglia per il momento continuerà, a cominciare dai preannunciati ricorsi alla Corte Suprema con denunce di "incostituzionalità" della legge ora approvata. Non vi è alcun segno di un ritorno a una fase di collaborazione al di sopra delle parti che Obama si era illuso di poter instaurare inizialmente. La battaglia è stata così aspra da renderlo impensabile e, di conseguenza, è difficile anche che i rapporti con l'opposizione si normalizzino su altri temi in sé meno controversi come l'economia e la stessa politica estera. La "distensione" è in ogni caso lontana, anche perché, pur se finisse relativamente presto il tormentone della riforma sanitaria, ben presto comincerà la campagna elettorale per il rinnovo del Congresso in novembre e troppo forte è la tentazione per i repubblicani di scaricare sui deputati democratici uscenti l'impopolarità del presidente e gli strascichi delle polemiche sulla sua riforma.
Non è impensabile, oggi come oggi, un cambio di maggioranza alla Camera se non addirittura al Senato. Nonostante il successo strappato domenica al Congresso, Obama non è un aiuto per le fortune elettorali dei suoi colleghi di partito. Non è uno scudo ma un bersaglio. E lo resterà fino a che i sondaggi non riveleranno un suo recupero nell'opinione pubblica moderata. Quanto ne siamo lontani lo dimostra un dettaglio: il fatto che la legge di riforma sanitaria sia stata approvata di domenica è stato definito da un deputato repubblicano "uno schiaffo sulla faccia di Dio".

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