Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

L'Italia, il migliore amico di Israele

Prima di partire per un viaggio di tre giorni nello Stato ebraico in compagnia di ben otto ministri e di una delegazione di imprenditori, Silvio Berlusconi ha dichiarato al giornale Haaretz: «Ho cambiato la politica estera dell'Italia e trasformato il mio Paese nel migliore amico di Israele in Europa». Un'ora dopo la pubblicazione dell'intervista, il premier israeliano Netanyahu gli ha fatto eco: «Israele non ha un amico più grande di Berlusconi nella comunità internazionale».
Non siamo dunque alla vigilia di una visita qualunque, ma di una tappa importante nella evoluzione della nostra politica estera, che non ha sempre avuto posizioni così nette. Oggi sarà anche la prima volta che tanti membri del governo italiano incontrano contemporaneamente, in una specie di vertice collettivo, i colleghi di un Paese che non faccia parte della UE. E l'iniziativa, in preparazione da lungo tempo, appare tanto più significativa in quanto giunge in un momento in cui Israele - sotto pressione americana perché riprenda i negoziati di pace con i palestinesi e sempre più allarmata per i progressi dell'Iran verso la bomba atomica - ha una particolare necessità del sostegno europeo. Bisogna dire che il presidente del Consiglio ha approfittato della situazione per muovere anche alcuni rilievi a Israele, che non tutti i suoi ospiti avranno gradito. Ha ribadito, cioè, la posizione di Obama e della UE che la occupazione di terre palestinesi ad opera dei coloni ebrei è un ostacolo per la pace, e ha invitato Gerusalemme a restituire le alture del Golan alla Siria per potere chiudere la partita anche con l'ultimo Paese arabo con cui è ancora formalmente in guerra.
Ma, nel prendere queste posizioni, ha messo anche dei paletti che Netanyahu non mancherà di apprezzare: ha ammesso che autentiche trattative con i palestinesi saranno possibili solo quando questi supereranno la loro conflittualità interna, ha confermato che per l'Italia Hamas rimane una organizzazione terroristica e ha specificato che per riottenere le terre perdute nel '67 la Siria deve smettere di sostenere ed ospitare organizzazioni che non riconoscono l'esistenza di Israele. È stato poi categorico nell'affermare - all'unisono con le più recenti posizioni americane - che la comunità internazionale non può tollerare che un Paese che nega la Shoah ed è votato alla distruzione dello Stato ebraico si doti di un arsenale nucleare. Se poi, in caso di inasprimento delle sanzioni, l'Italia accetterà di ridurre i suoi ingenti scambi commerciali con l'Iran rimane da vedere, ma se si arriverà al dunque difficilmente potrà tirarsi indietro.
La decisione di Berlusconi di schierarsi così apertamente con Israele, che viene nella scia di analoghe dichiarazioni della Cancelliera Merkel e del governo polacco, non potrà non influenzare la politica della UE, dove Francia e Gran Bretagna sono assai più tiepide verso Gerusalemme.
Essa sembra riflettere anche una nuova valutazione della situazione mediorientale da parte di molte Cancellerie: appare cioè evidente che, mentre il governo Netanyahu, nonostante le sue asprezze e i condizionamenti della sua ala destra, sembra disponibile a riprendere il negoziato di pace, ora sono proprio i palestinesi a traccheggiare: Abu Mazen, cioè, sa che fino a quando non ricomporrà la frattura con Hamas non è in grado di prendere impegni, ed ha paura che, qualunque concessione faccia nel corso dei negoziati, questa potrebbe essergli fatale. Perciò, invece di accettare una trattativa sui piccoli passi, si trincera dietro una richiesta di "tutto e subito" - ripristino integrale delle frontiere del '67, cessione di Gerusalemme est e diritto al ritorno dei profughi - che nessun governo israeliano potrà mai accettare. Tutto perciò rimane bloccato, come ha constatato la scorsa settimana l'inviato di Obama Mitchell, che se ne è tornato a Washington senza avere concluso nulla. Ma stavolta non per colpa dello Stato ebraico.

Caricamento commenti

Commenta la notizia