
Continua senza sosta lo svasamento della diga Trinità di Castelvetrano ordinato a metà gennaio dal ministero per ragioni di sicurezza dopo i rilievi effettuati sull’impianto dal Dipartimento regionale Acqua e rifiuti (Dar), giudicati insufficienti dal Mit, e mentre l’assessore all’Energia rispolvera l’idea di utilizzare le acque reflue per sopperire alle esigenze irrigue degli agricoltori trapanesi attivi in quell’area, gli esperti in materia di infrastrutture rilanciano l’allerta su altri invasi dell’Isola, ricordando quanto sottolineato in queste pagine più volte: i problemi dello sversamento dell’acqua, dell’interramento e delle criticità di tenuta non riguardano solo il bacino di Castelvetrano. A ribadirlo è Gianluigi Pirrera, vicepresidente nazionale dell’Associazione italiana per l’ingegneria naturalistica, che parla di «paradosso» in una Sicilia «che soffre la siccità e non riesce ad utilizzare tutta la risorsa idrica accumulata nelle dighe».
Se dei 18 milioni di metri cubi potenziali di Trinità se ne possono utilizzare solo 2 milioni, come tetto di garanzia definito da Roma, i livelli minimi di invaso riguardano, solo per fare degli esempi, anche la diga Rubino, sempre nel Trapanese, o la diga Disueri a Gela, mentre dai dati ministeriali in mano al nostro giornale, una trentina delle 47 costruzioni sparpagliate fra le varie province hanno più di 40 anni di vita e sono state dunque costruite prima della normativa nazionale in materia antisismica. Tra queste, inoltre, il 39% insiste in zona sismica 2 e l’11% in zona 1 - la più pericolosa - e solo il 14% risulta progettato per resistere a un terremoto.
C’è poi il problema dell’interrimento, che acutizza ancor di più le problematiche tecniche degli impianti, rischiando di otturare i canali di scarico quando l’acqua viene sversata a mare.
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