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Il mercato del lavoro cambia, ai giovani manca un'adeguata formazione

Francesco Seghezzi, presidente Adapt: «Meglio puntare sulla competenza che sulla manodopera a basso costo»

Francesco Seghezzi, Fondazione Adapt

I contratti a termine trainano l’occupazione, questo significa che il mercato del lavoro sta cambiando. E la riforma delle politiche attive ne deve tenere conto perché, al momento, «è ancora parziale» e non sembra seguire il corso del cambiamento di scenario.

Parola di Francesco Seghezzi, presidente Adapt, che intervistato dall’Agi commenta gli ultimi dati Istat sull'occupazione e lancia l’allarme: mancano i giovani e non si investe più nell’incontro di domanda e offerta di lavoro. Affinché l’Italia resti un Paese competitivo c'è più bisogno di persone formate che di manodopera di basso livello.

La ripresa è in corso ma cambia la struttura occupazionale

Secondo Seghezzi, i dati dell’Istat sono «sicuramente positivi e dimostrano che una ripresa c’è stata ed è in corso. Anche altri dati confermano che il trend è abbastanza continuativo. Siamo ancora un po’ indietro rispetto al numero degli occupati che avevamo a febbraio 2020» ma ciò che salta agli occhi «è che c'è una forte ricomposizione della struttura occupazionale, o meglio, una riproposizione di quella che era la struttura occupazionale pre-pandemia e un recupero dei posti di lavoro persi che si concentra negli occupati a tempo determinato».

Rispetto al secondo trimetre 2020, spiega ancora Seghezzi, «sono cresciuti solo i lavoratori a termine. C'è una piccola crescita di circa 58 mila persone anche a tempo indeterminato ma il grosso (570.000) sono occupati a termine. È un dato, da una parte normale nelle fasi di ripresa quando permane l’incertezza, d’altra parte questo ci dice molto su come funziona il mercato lavoro di oggi, con delle transizioni tra un lavoro e l’altro per diverse fasi della vita lavorativa molto più marcate rispetto al passato».

Il ruolo delle politiche attive

Ed è qui che entra in gioco tutto il tema delle politiche attive. Secondo le indiscrezioni che emergono «si stanno costruendo le politiche attive come un sistema soprattutto per le persone disoccupate, mentre invece un grande aumento della percentuale di persone che lavorano ma ha contratti temporanei implica un sistema di politiche attive che valga per tutti, non solo per i disoccupati, perché altrimenti si vanno a produrre disoccupati», sottolinea Seghezzi. «Se la maggior parte delle persone sono a termine, significa che quando il termine viene raggiunto avranno bisogno di un altro lavoro, di fare un percorso formativo. Quindi questi dati ci suggeriscono che l’indirizzo che stiamo prendendo rispetto alle politiche attive è ancora parziale rispetto a quelle che sembrerebbero essere le esigenze del marcato di oggi».

Serve un migliore incontro di domanda e offerta di lavoro

Guardando anche i dati di Unioncamere di agosto, secondo i quali le imprese prevedevano di assumere oltre 256 mila lavoratori e che il 32,7% delle figure cercate era «di difficile reperimento», il presidente Adapt sostiene che le imprese, per necessità «assumono anche personale con competenze più scarse o con profili un pò diversi da quelli che cercavano, è chiaro che non sono assunzioni efficienti». Il mercato del lavoro funzionerebbe meglio e in modo più rapido «se ci fosse un migliore incontro di domanda e offerta, a partire da quei percorsi di integrazione tra formazione e lavoro, come l’apprendistato, che ancora non decollano pienamente. Per cui questo è sicuramente un motivo di rallentamento e ingessamento di certe dinamiche».

Meglio puntare sulle competenze che sulla manodopera di basso livello

C'è poi il tema della carenza di giovani nel nostro paese un problema che «alla lunga comincerà a farsi sentire: i giovani dovrebbero essere quelli più aggiornati, perché appena usciti da un percorso formativo, e se ce ne sono di meno rispetto al passato avremo meno persone a disposizione. Abbiamo tanti lavoratori stranieri che non formiamo, che pensiamo di utilizzare come manodopera di basso livello, ma alla lunga abbiamo più bisogno più di persone formate che di manodopera di basso livello se vogliamo rimanere un paese competitivo», conclude.

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