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El Salvador, il bitcoin nei negozi: è il primo Paese a dare corso legale alla criptovaluta

Una protesta contro l'uso del bitcoin come forma di pagamento

«Alea iacta est». Forse paragonare l’atto rivoluzionario compiuto da Cesare il 23 novembre del 50 a.C. di attraversare il Rubicone e marciare verso Roma contro la deliberazione del Senato con la decisione di oggi di El Salvador di conferire corso legale al bitcoin potrebbe sembrare eccessivo. È però un dato di fatto che il progetto del Paese centro-americano di introdurre la criptovaluta negli scambi commerciali interni rappresenta uno di quegli eventi che gli economisti chiamano «disruptive», di rottura con il passato, che sortirà inevitabili ripercussioni anche fuori dai confini salvadoregni.

È il primo Paese a fare questo passo. Fredda la reazione del mercato: il calo della moneta virtuale si è esteso a un -17% a 43.050 dollari, ai minimi da un mese. Ma, come è consuetudine, gli investitori tendono a scontare in anticipo le dinamiche future, e quindi non è escluso come le vendite di oggi non siano altro che un riflesso delle prese di profitto scattate dopo il rally a cui si è assistito dal mese di giugno che ha portato nella mattinata di oggi il prezzo a quasi 53 mila dollari non lontano dal record storico di 65 mila dollari toccati nel mese di aprile.

C'è da dire infatti come l’annuncio non sia stato propriamente un fulmine a ciel sereno. Il provvedimento aveva ricevuto il placet del presidente Nayib Bukele già nel mese di giugno, e subito trasformato in legge dal Parlamento ampiamente controllato dalle forze filogovernative. Ma ora il mercato deve tenerne realmente conto. Gli operatori economici e gli esercizi commerciali, secondo la legislazione approvata, saranno ora obbligati ad accettare la criptovaluta e tutti i prezzi di prodotti e servizi devono essere espressi sia in dollari sia in bitcoin.

Un velo di ipocrisia rimane se si considera che tuttavia stipendi e pensioni continueranno ad essere pagati in dollari, mentre il cittadino «potrà accettarlo, ma non riceverlo». Una cautela, quella adottata dal governo, che trae probabilmente origine dallo scetticismo con cui la popolazione ha accolto il provvedimento: secondo uno studio dell’Istituto dell’opinione pubblica (Iop), il 66,7 % della popolazione ritiene che la legge Bitcoin debba essere abrogata mentre il 65,2% è contrario al fatto che il governo utilizzi fondi pubblici per finanziare la sua introduzione. Ma appunto il Rubicone oramai è stato superato, alimentando così tra gli operatori finanziari la fatidica domanda di chi sarà il prossimo paese a intraprendere un’azione simile. O per meglio dire, subirla.
Conferire infatti corso legale a una moneta elettronica la cui offerta non può essere di fatto controllata non rappresenta forse il migliore degli scenari possibili per i Paesi più sviluppati.

Da un lato infatti la decisione per un Paese in via di sviluppo come El Salvador di aprire ai bitcoin può essere almeno in parte spiegata come il tentativo di creare un ecosistema in grado di attrarre cervelli e liquidità (anche se non sempre proveniente da canali legali) da tutto il mondo, dando sostegno all’economia locale, soprattutto ora che la Cina per ragioni ambientali ha avviato un giro di vite sull'attività di estrazione di bitcoin.

Dall’altro lato la spinta che giunge dal settore privato affinché le maggiori banche centrali del mondo adottino un sistema di moneta elettrico è sempre più forte. L’esempio più recente giunge dalla piattaforma social Twitter la cui funzione Tip Jar potrebbe presto integrare un’opzione di pagamento tramite criptovalute. Stando a quanto si è appreso, da maggio, sarà possibile inviare «mance» agli utenti del microblog in lingua inglese per particolari meriti, come la condivisione di notizie utili sulla piattaforma. Ma anche il fondatore di Tesla Elon Musk, come è ben noto, è un grande fautore dei bitcoin, sebbene lo scorso mese di maggio abbia dovuto cedere alle pressioni degli ambientalisti, sospendendo l'accettazione di moneta elettronica come forma di pagamento a causa dell’elevato consumo di energia elettrica necessario per la loro l’estrazione. Ma, appunto, il mercato punta oramai in una direzione e il modo in cui le banche centrali, soprattutto la Federal Reserve, gestirà il fenomeno, sarà di importanza cruciale per la tenuta del sistema finanziario internazionale basato sul dollaro, come ha evidenziato in un’analisi su Bloomberg lo storico Neill Ferguson. Se infatti da un lato paesi di stampo autocratico, come la Cina, vedono lo sviluppo della moneta elettronica come veicolo di maggiore controllo dell’economia, le banche centrali occidentali dovrebbero invece proporre un modello alternativo che inglobi le nuove applicazioni al fine di favorire innovazione e sviluppo.

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