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Ispra, allarme frane e alluvioni: "In Sicilia a rischio il 92% dei comuni"

PALERMO. L’88 per cento dei comuni italiani a rischio di frane e di alluvioni e ben il 92% in Sicilia, e poi ancora a rischio 34 mila tra monumenti, beni architettonici e siti archeologici, il 18,1% del patrimonio artistico nazionale e oltre 80 mila imprese con un totale di più di 200 mila lavoratori. È piuttosto drammatico, il quadro tracciato dal rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Carla Iadanza è ricercatrice dell’istituto, specializzata in particolare sui rischi-frana ed è una delle autrici del rapporto presentato ieri.

Dottoressa, quali sono ancora oggi i principali motivi di un rischio idrogeologico così alto nel nostro Paese?
«Da un lato c’è senz’altro una propensione naturale del territorio italiano, particolarmente soggetto, per le sue caratteristiche geologiche e morfologiche, a rischi sia di frane che di alluvioni. Dall’altro, c’è anche una fortissima presenza umana sul territorio, una alta densità abitativa, con un'urbanizzazione aumentata in modo esponenziale a partire dal secondo dopoguerra, sia per ciò che riguarda l’edilizia abitativa sia per le infrastrutture».

Ma negli ultimi anni la situazione è migliorata, sia sul piano dello sviluppo urbano che su quello della protezione del territorio dal rischio di alluvioni e frane?
«Sicuramente c’è stato un miglioramento a partire dall’alluvione di Sarno del 1998, con l’introduzione dei piani di assetto idrogeologico, redatti dalle autorità di bacino, Regioni e Province autonome, con i quali sono state censite le aree a più elevata pericolosità, sulle quali sono stati applicati dei vincoli nella regolamentazione dell’uso del territorio. Ad esempio, nelle aree a pericolosità più alta di frana sono stati applicati vincoli di inedificabilità assoluta, o proibizioni di aumentare i volumi o le superfici delle costruzioni esistenti. L’applicazione di questi vincoli ha certamente migliorato negli ultimi anni la situazione che era stata aggravata dal fatto che lo sviluppo edilizio del dopoguerra si era svolto in assenza di una corretta pianificazione territoriale, con l’urbanizzazione di aree che erano ad alta pericolosità di frane e alluvioni».

Da un punto di vista geografico, quali sono dunque le aree del Paese più a rischio?
«Per ciò che riguarda il pericolo di frane, le regioni più esposte e con un più largo numero di abitanti a rischio sono la Campania, la Toscana, la Liguria e l’Emilia Romagna. Per quel che invece riguarda le alluvioni, le regioni con la più ampia fascia di popolazione esposta a rischio sono l’Emilia Romagna, la Toscana, il Veneto, la Lombardia e la Liguria. Le ragioni sono soprattutto di conformazione del territorio. Le frane avvengono ovviamente solo in aree montuose e collinari, come l’arco alpino e appenninico. Quanto alle alluvioni, le zone più esposte sono quelle di pianura con grandi aree metropolitane».

Colpisce anche il dato sui monumenti e beni archeologici a rischio, il 18% del patrimonio artistico nazionale. Cosa rischiamo davvero di perdere?
«Intanto, qualche numero: i beni monumentali-archeologici a rischio frane sono oltre 34 mila, di cui oltre 10 mila in zone ad alta pericolosità mentre altri 29 mila beni culturali sono a rischio di alluvione. Particolarmente a rischio frana abbiamo alcuni borghi storici in zone montuose e collinari. Alcuni sono stati già oggetto di consolidamento come Orvieto, Certaldo, Todi. Mentre sono le grandi città d’arte come Genova, Firenze, ovviamente Venezia, ad essere esposte a rischi idraulici».

Cosa è più urgente fare, anche nel breve, per evitare i rischi maggiori per le popolazioni e per i beni culturali?
«Per le aree urbane servono opere di consolidamento dei versanti franosi, o specifiche opere di protezione dalle alluvioni, anche per quel che riguarda gli argini dei fiumi. Per le zone ancora non abitate è essenziale la pianificazione territoriale e il rispetto dei vincoli di edificazione. E infine rafforzare i sistemi di monitoraggio, sia delle precipitazioni, sia dei movimenti del terreno. Il governo e la struttura contro il dissesto idrogeologico di palazzo Chigi, “Italia Sicura”, hanno fatto già partire il piano di interventi strutturali a protezione delle grandi aree metropolitane da un miliardo e 300 milioni di euro per 132 interventi diversi».

La Sicilia: qual è la situazione particolare dell’Isola?
«Anche considerando le frane e gli eventi che si sono registrati negli ultimi tempi, il livello di rischio sul territorio è piuttosto alto. Se guardiamo ai dati riportati nel rapporto, il 92% dei comuni della Sicilia ha aree esposte a rischio o di frana, o di alluvione, o di entrambe le cose. Soprattutto per ciò che riguarda le frane, il livello di pericolosità è elevato, mentre per le alluvioni il rischio è medio».

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