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Economia illegale non conosce crisi, vale 211 miliardi

Tra il 2011 e il 2013 l'economia sommersa e quella illegale sono aumentate di 4,85 miliardi, arrivando a toccare i 207,3 miliardi nel 2013 (pari al 12,9%del Pil)

ROMA. Mentre l'economia arranca, secondo la Cgia di Mestre quella riconducibile alle attività in nero e alla criminalità organizzata non conosce battute d'arresto. Se tra il 2011 e il 2013 l'economia sommersa e quella illegale sono aumentate di 4,85 miliardi, arrivando a toccare i 207,3 miliardi nel 2013 (pari al 12,9%del Pil), quella al netto dell'economia non osservata è diminuita di 36,8 miliardi, scendendo sotto quota 1.400 miliardi.

Se in via prudenziale si ipotizza, così come ha fatto la Cgia, che l'incidenza percentuale dell'economia non osservata sul Pil sia rimasta la stessa anche nel biennio successivo al 2013, gli artigiani mestrini stimano in quasi 211 miliardi il «contributo» che questa economia «grigia» ha dato al Pil nel 2015.

Questo aspetto, per la Cgia, ha effetti molto importanti sul fronte fiscale. «Nel 2015 - sottolinea Paolo Zabeo della Cgia - al lordo dell'operazione bonus Renzi, la pressione fiscale
ufficiale in Italia è stata pari al 43,7%. Tuttavia, il peso complessivo che il contribuente onesto sopporta è di fatto superiore ed è arrivato a toccare la quota record del 50,2%».

Per l'associazione artigiani, la pressione fiscale è data dal rapporto tra l'ammontare complessivo del prelievo (imposte, tasse, tributi e contributi previdenziali) e il Prodotto interno lordo (Pil) che si riferisce non solo alla ricchezza prodotta in un anno dalle attività regolari, ma anche da quella «generata» dalle attività sommerse (cioè non in regola con il fisco) e da quelle illegali che consistono in uno scambio volontario tra soggetti economici (contrabbando, prostituzione, traffico di sostanze stupefacenti).

Ipotizzando in via prudenziale che nel 2014 e 2015 l'incidenza dell'economia non osservata sul Pil sia rimasta la stessa del 2013, per la Cgia si può pensare che nel 2015 abbia sfiorato i 211 miliardi di euro. Da qui il dato che la pressione fiscale reale balza al 50,2%.

«È evidente che con un peso fiscale simile - dichiara il segretario Renato Mason - sarà difficile trovare lo slancio per ridare fiato all'economia del paese in una fase dove la crescita rimane ancora molto debole e incerta».

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