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Fara: «Soli e bombardati da tante sostanze: i giovani si drogano perché lo fanno tutti»

L'uso e l'abuso di alcol, negli ultimi anni, è cresciuto esponenzialmente tra gli adolescenti e i giovani, diventando una componente essenziale dello sballo. E il primo approccio con l' alcol per gli adolescenti avviene ormai tra i dieci e i dodici anni di età. Spesso a questo segue l' utilizzo di sostanze stupefacenti. Sostanze che è sempre più difficile individuare e censire». Lo afferma Gian Maria Fara, sociologo e presidente dell'Eurispes, l'Istituto di studi politici, economici e sociali che opera nel campo della ricerca dal 1982. «Da quattordici anni raccogliamo dati che vengono poi pubblicati all' interno dell' Indagine conoscitiva sulla condizione dell' infanzia e dell' adolescenza in Italia». Un report che nel tempo è diventato di fatto un osservatorio fisso. «Sulla base dei dati raccolti - prosegue Fara -, mettiamo quindi a fuoco alcuni temi e su quelli ci confrontiamo e ragioniamo per l' elaborazione di rapporti più mirati».

Da anni si parla di allarme droga per quanto riguarda i giovani. Qual è allo stato attuale la situazione?
«Ricordo che all' inizio degli anni Ottanta e, in parte, negli anni Novanta un morto per overdose o consumo di droga guadagnava la prima pagina dei giornali. Le tossicodipendenze erano un fatto inusuale e, soprattutto, preoccupante. Queste notizie destavano sempre un grande clamore. Oggi che la droga è largamente diffusa, molto di più che nei decenni passati, si è quasi normalizzato l'uso delle stesse droghe. Anche perché nel frattempo sono nate sostanze più a portata dimano, più fruibili».

Cosa s'intende per sostanze più a portata di mano?
«Ormai è difficile censire la quantità del consumo di droga. Così come individuare le sostanze che sono diventate, nel tempo, sempre più numerose e più inafferrabili. E spesso anche indecifrabili. Un tempo ci si faceva di eroina o di cocaina. Oggi c' è di tutto e di più. Droghe meno letali in apparenza, ma molto più pericolose peri meccanismi di assuefazione e di dipendenza. Quello che un tempo era un fenomeno che riguardava un numero limitato di giovani, oggi è un fenomeno di massa».

Ci sono fattori sociali o culturali che concorrono alla creazione di contesti che favoriscono l'uso di sostanze stupefacenti?
«La droga in passato si assumeva perché era bella ed era buona. Cosa che nessuno aveva allora il coraggio di affermare. Era un fatto individuale. Il modo di assumere le droghe oggi è, invece, radicalmente cambiato. Nuovo è innanzitutto il suo utilizzo che risponde aun fatto identitario, a una logica di appartenenza. Si sta in un gruppo dei pari, di amici, "tutti lo fanno e, quindi, lo devo fare anch' io". Questo per essere in linea, per essere, in qualche modo, accettato dal gruppo. Una volta era un fatto individuale. Oggi rischia di essere un fatto collettivo».

L'utilizzo in gruppo da cosa viene agevolato?
«Quando penso ai luoghi da sballo, come quelli che vengono segnalati in questi ultimi giorni dai mezzi di comu nicazione, penso a grandi ammassi di solitudine. E a grandi concentrazioni di ricerca disenso, di appartenenza. Si vuole appartenere a qualcosa, si vuole appartenere a un gruppo. Si vuole tentare di rompere l' isolamento nel quale questa nostra società ci ha portati. Basti pensa rea quelle migliaia e migliaia di ragazzi che vanno in discoteca e che ricercano lo sballo. Spesso passano la serata all' interno di una discoteca senza neanche conoscersi e riconoscersi. È una sorta di sballo collettivo all' interno del quale c' è una ricerca di senso e di orientamento».

Che ragazzi sono quelli che ricercano lo sballo?
«Sono giovani completamente soli. Sostanzialmente annichiliti. Distanti dalla famiglia. E spesso sono anche giovani che non hanno un lavoro e una prospettiva. E lo sballo del sabato sera, in qualche maniera, serve per riconoscersi, divenendo quindi un fatto identitario. Ma è sempre lo stesso sballo che serve per cercare di reagire alla solitudine e all' isolamento nel quale gli appartenenti alle giovani generazioni sono piombati».

Siamo nell'epoca dei social network. Queste community quanto incidono nelle relazioni e nella solitudine dei giovani?
«Il social network serve a individuare quei luoghi di possibile aggregazione e di incontro. È una forma di comunicazione. Ma, se riflettiamo, la comunicazione attraverso una chat, attraverso un social network, può essere il segnale di una grande solitudine. L'obiettivo dei ragazzi oggi, più che il vedersi per divertirsi, sembra essere quello di trovare luoghi franchi e liberi da pensieri, lontani dalla comunicazione della crisi, liberi dalle difficoltà. Poi non ha importanza come finisce la serata, se incontri un' amica o un amico: l' importante è esserci stati. L' importante è avere fatto parte, seppur per una sera, di un gruppo che si riconosce. In questo senso il selfie, l'autoscatto, è una sorta di autocertificazione dell'esistenza in vita. Per la serie: ci sono anch' io, anche se non so chi sono».

Che ruolo gioca la famiglia?
«Il ruolo della famiglia è essenziale. Il problema vero è che, nel corso degli ultimi venti, o forse trenta anni si è affievolito e, in alcuni casi, è scomparso del tutto il ruolo delle tradizionali agenzie di senso e di orientamento: per prima la famiglia, poi la scuola, la politica, la chiesa... realtà che sono oggi in profonda crisi. La produzione di senso è affidata alla buona volontà di ciascuno di questi ragazzi. Ragazzi che non hanno strumenti per elaborare senso e, tra l' altro, si trovano all' interno di una società che, così come è organizzata, tende più a destrutturare il senso, piuttosto che a produrlo. Sono molto preoccupato per le nuove generazioni. A partire da quella dei nativi digitali che ha sostituito la rappresentazione con la realtà, il reale con il virtuale. Vivono in un mondo altro. E non solo il sabato sera quando sballano».

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