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Lavoro, Poletti: "Dall'1 marzo via ai primi contratti a tutele crescenti"

Il ministro: "Le aziende potranno fare le prime assunzioni. Previsto aumento dell'occupazione"

ROMA. Ancora pochi giorni e il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, con le sue novità anche sui licenziamenti ed il superamento del reintegro in gran parte dei casi, sostituito dall'indennizzo economico, sarà operativo.

Ma il Governo, per quanto riguarda intanto le coperture per gli ammortizzatori, si impegna eventualmente fossero carenti, a ritornare in Parlamento con nuovi interventi, come ratificato stasera dalla Commissione Bilancio della Camera in un parere non vincolante.

«Dal primo marzo le aziende potranno assumere con le nuove regole», ha detto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, alla presentazione del rapporto Ocse sull'Italia, da cui è arrivato il netto sostegno al Jobs act.

Il «nuovo mercato del lavoro produrrà più occupazione» e quindi «più ricchezza e fiducia», ha sottolineato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Tutto questo alla vigilia del Cdm che darà il via libera definitivo al relativo decreto attuativo, insieme a quello che ridisegna gli ammortizzatori sociali con la nuova Aspi (Naspi), la nuova indennità di disoccupazione che scatterà invece dal primo maggio.

Sul contratto a tutele crescenti resta, però, ancora da sciogliere la questione sui licenziamenti collettivi: ossia se escluderli - come richiesto non solo a gran voce dai sindacati ma anche nel parere delle commissioni Lavoro di Senato e Camera - o meno dal campo di applicazione delle nuove norme. Su cui c'è il no di Ncd.

Un nodo sul quale, viene sottolineato, la discussione - e la mediazione - sarà aperta fino all'ultimo. «Chiediamo al Consiglio dei ministri di disattendere» il parere, «confermando il testo originario», afferma il presidente della commissione Lavoro di Palazzo Madama, Maurizio Sacconi (Area popolare), secondo cui «se venisse meno anche questa novità positiva il provvedimento perderebbe gran parte del contenuto innovativo che continuiamo a giudicare timido».

Al Consiglio dei ministri arriverà sicuramente anche lo schema di decreto legislativo, previsto sempre dal Jobs act, sulla revisione delle tipologie contrattuali, il cosiddetto 'Codice dei contrattì: come affermato dallo stesso Poletti, l'orientamento è di dire addio ai co.co.pro (non sarà possibile stipulare nuove collaborazioni a progetto e per quelle esistenti si gestirà la «transizione»), di abolire l'associazione in partecipazione ed il Job sharing e di rimodulare le regole per le Partite Iva. Mentre resta confermato a 36 mesi il tetto per i contratti a termine senza causale.

Cgil e Uil continuano a bocciare il provvedimento, (dopo che «il Governo ha dato tanto alle imprese, ora faccia qualcosa per il lavoro», dice la Cgil) mentre la Cisl apprezza la volontà di mettere al centro il contratto a tempo indeterminato, insistendo però (come gli altri sindacati) sulla lotta vera alla precarietà. Poletti ha ribadito la «scelta di fondare l'impianto del nuovo mercato del lavoro sul contratto a tutele crescenti», sul quale «produrre una massa consistente di nuovi contratti»: «Se quest'anno 100-200-300-400mila persone entreranno nel mercato lavoro o cambieranno la loro condizione», allora «avremo cambiato il modo di pensare» del Paese.

Queste nuove assunzioni saranno incentivate con la decontribuzione triennale ed il taglio Irap sul costo del lavoro, come fissato dalla legge di stabilità per le imprese.

Entro giugno tutti i decreti del Jobs act saranno operativi, come previsto dalla delega stessa (che indica in sei mesi la sua attuazione dall'entrata in vigore a dicembre), ha inoltre ricordato il ministro. Potrebbero arrivare sul tavolo del Cdm di domani, ma resta un punto interrogativo, anche il decreto attuativo sulla conciliazione dei tempi di vita-lavoro e quello che istituirebbe dal primo gennaio 2016 l'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro integrando i servizi di ministero del Lavoro, Inps e Inail.

Tema su cui il ministro del Lavoro ha incontrato nel pomeriggio i sindacati del pubblico impiego Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Pa, che avevano attaccato il governo dicendo no ad un «blitz».

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