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Rallo: «Siciliani allergici alle lingue, aziende vitivinicole assumono stranieri»

Molte ditte che investono all’estero sono costrette ad assumere personale che viene da fuori per il commerciale e il marketing

PALERMO. Vino in tutte le lingue del mondo. Ma non in Sicilia, dove molte aziende del settore vitivinicolo sono costrette ad assumere personale non siciliano per il commerciale o il marketing. Motivo: scarsa padronanza delle lingue straniere da parte dei locali. Se negli anni passati erano gli enologi le star del mondo di Bacco, oggi una delle professioni emergenti è quella del wine export manager, che deve possedere una conoscenza approfondita del vino in ogni suo aspetto, dalla produzione alla distribuzione, dagli aspetti normativi allo scenario del mercato internazionale, ai canali distributivi, all'organizzazione aziendale, alla comunicazione. Deve essere disponibile a viaggiare e, se è il caso, a trasferirsi all'estero per lunghi periodi. E, va da sé, deve «maneggiare» alla perfezione più idiomi stranieri, ed essere in grado di sostenere una conversazione che includa anche termini tecnici e specifici. Tutte abilità che ai siciliani, evidentemente, mancano.
Come è noto, nel mondo del vino, gli affari si fanno soprattutto a tavola, in un'atmosfera conviviale, e la capacità di intrattenere una discussione empatica con i propri interlocutori - siano essi buyer, ristoratori, esportatori - è fondamentale, per l'andamento positivo dell'export di bottiglie made in Sicily. «Le prime aziende siciliane - spiega Antonio Rallo, presidente di Assovini Sicilia - hanno delle professionalità non siciliane in certi ruoli chiave. Noi abbiamo una ferrarese che conosce 7 lingue, parla e scrive il cinese, e che in questo momento vive a Barcellona per migliorare lo spagnolo. Per fortuna, oggi è possibile lavorare ovunque con i server aziendali: lei si è sistemata nei pressi dell'aeroporto e, quando è necessario, prende il volo diretto e in un paio d'ore arriva a Trapani. Tasca ha un'olandese che parla cinque lingue, Planeta un inglese, Cusumano un tedesco». Anche il settore dell'enoturismo, in continua espansione, richiede competenze linguistiche: «Ospitare gli stranieri è un modo per far conoscere e crescere il territorio, è una promozione fatta direttamente sul campo, un modo per spiegare la nostra realtà. In questo ambito l'inglese bisogna conoscerlo di base ma ci sono i turisti russi che crescono e che spesso riescono a comunicare solo nella loro lingua».
I mercati di riferimento per il nostro vino sono sempre più numerosi, complessi e lontani, e occorre seguirli in loco, per sviluppare contatti più diretti ed efficaci. La presenza fisica è importante, tanto che le aziende che possono permetterselo hanno un resident manager, che segue da vicino le piazze più competitive: «Servono stage all'estero mentre qui le sole persone che parlano le lingue sono quelle laureate alla facoltà di Lingue, ma non sono specializzate nel segmento del vino, nel marketing e nell'enoturismo, non conoscono il commerciale». Studiare le lingue, magari le più astruse, diventa allora un investimento per l'economia e l'occupazione: «Infatti è determinante non fermarsi all'inglese e al tedesco, che pure sono i nostri primi due mercati di riferimento, bisogna aggiungere francese e spagnolo solo per restare in Europa. Ma vanno considerati soprattutto mercati come quello russo e quello cinese, che ormai sono più che emergenti, e aggiungerei anche il giapponese. Non possono esserci barriere linguistiche, le lingue di questi Paesi bisogna parlarle bene, perché concludere un accordo senza problemi di comunicazione è più semplice».

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