Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

È morto Vangelis, sue le colonne sonore di Momenti di gloria e Blade Runner

Vangelis Papathanassiou

Non c’è persona, amante di cinema, semplice appassionato di musica, perfino spettatore televisivo o frequentatore di grande sport che non abbia conosciuto e amato Vangelis, magari senza nemmeno che il suo nome gli fosse familiare. La generazione degli anni ‘60 ha ballato e si è innamorata sulle note di «Rain and Tears» con la voce rotta di Demis Roussos o di «It’s Five òclock“; chi è cresciuto negli anni ‘80 ha palpitato seguendo la corsa verso la vittoria di «Momenti di gloria», scandita dal crescendo epico di una musica che ha fatto il giro del mondo finendo perfino in uno spot commerciale. Chi si è commosso vedendo la solitudine disperata del replicante di «Blade Runner» ha ancora in testa la straziante melodia che lo connota. E chi ha partecipato o visto in tv il mondiale di calcio in Corea/Giappone non dimenticherà più la sigla ufficiale di quella sfortunata (per l’Italia di Totti) spedizione.

Evángelos Odysséas Papathanassío, morto oggi (19 maggio)  in ospedale a Parigi all’età di 79 anni, era nato in Tessaglia (ad Agria) il 29 marzo del 1943. In una delle sue rarissime interviste attribuiva al padre la sua passione per la musica che lo portò a inventare il suo primo concertino casalingo ad appena 4 anni, usando la radio, le pentole, i bicchieri. Autodidatta convinto, diceva che le sue radici rimanevano legate alla musica greca tradizionale, ma che il jazz aveva avuto la sua influenza fino a che, appena diciottenne, ottenne in regalo il suo primo organo Hammond. Contagiato dall’esplosione del pop e del rock diede vita al suo primo complesso (i Formynx) nel1963, ma il successo gli sarebbe letteralmente piovuto sulla testa cinque anni dopo, alla testa della progressive band degli Aphodites Child. Si incontrarono fuori dalla Grecia perché Vangelis si era auto-esiliato nel’67 sconvolto dalla presa del potere da parte dei Colonnelli e dalla successiva dittatura. Con Demis Roussos e gli altri componenti della band rimase appena tre anni, scanditi però da un successo senza pari. Intanto però aveva trovato casa a Londra dopo un lungo soggiorno parigino e la somma delle influenze delle due culture, oltre all’adesione ai movimenti del “Maggio francese» segnarono profondamente la sua maturazione.

Oggi si può ben dire che Vangelis è stato tra i grandi pionieri della musica elettronica, ma senza la sua immediata consonanza per il cinema e le immagini, staremmo a scrivere una storia diversa. A Londra aprì negli anni ‘70 il suo studio di incisione (lo chiamava «il laboratorio»), diede un taglio netto alla sua vita da rocker, rigettandone le abitudini come le droghe e l’alcool, cominciò un’intensa fase di ricerca autonoma che poi avrebbe trovato in Jon Anderson degli «Yes» il perfetto complice in un lungo e fecondo sodalizio. Nel frattempo però aveva rispolverato la passione per le colonne sonore (coltivata in gioventù collaborando a diversi film greci dei primi anni ’60) e anche in questo caso ebbe la fortuna di incrociare l’occasione irripetibile. In Francia aveva scoperto sonorità e modelli culturali diversi lavorando con Frederic Rossif, Henry Chapier, Robert Fitoussi e cogliendo un successo personale con una grande serata all’Olympia. Ma fu a Londra che il destino bussò alla sua porta nella persona del regista Hugh Hudson con sottobraccio il copione di «Momenti di gloria» (1980). «C’erano davvero pochi soldi, ma Hugh e i suoi produttori mi piacevano -raccontò più tardi - e fu un regalo del cielo lavorare con loro. Nessuno però avrebbe scommesso un penny sul risultato finale. La chiave di tutto fu l’uso del sintetizzatore quando andavano ancora di moda le grandi orchestre e l’idea di un suono anomalo che scava la sua traccia nella mente». Milioni di dischi venduti, un Oscar e i maggiori riconoscimenti del cinema inglese gli aprirono la porta di Hollywood, portarono alla collaborazione con Ridley Scott («Blade Runner» e poi «1492»), a quella con un altro esule come Costa Gavras («Missing»). La sua patria artistica rimase però sempre l’Europa, spingendolo a lavorare con Roman Polanski («Bitter Moon”), Jacques Cousteau e, in teatro, con due leggende della cultura ellenica come Michael Cacoyannis e Irene Papas. Non a caso la sua ultima collaborazione colonna sonora di successo fu per «Alexander» l’epica ricostruzione della cultura greca classica tentata da Oliver Stone nel 2004.

Adorava la fantascienza e cercava le sonorità dello spazio tanto da collaborare con la Nasa e l’Esa per le missioni spaziali, considerava Stephen Hawkins il più grande genio della nuova era.  «La mitologia, la scienza, l’esplorazione dello spazio - ha detto - sono soggetti che mi hanno affascinato fin dalla prima infanzia. E si ritrovano sempre, insieme alle sonorità della mia patria, nella musica che scrivo». Oggi se ne va, in seguito all’affezione del Covid, alla ricerca di un altro viaggio: lo accoglierà quel cosmo fitto di sonorità arcane a cui guardava anche nell’ultimo album che ci ha lasciato, «Juno to Jupiter», ispirato alla missione spaziale verso Giove.

Caricamento commenti

Commenta la notizia