Venezia, alla mostra del Cinema arriva il nuovo film di Favino: "Racconto i padri di una volta"
È «pura casualità» che Pierfrancesco Favino negli ultimi tempi sia a ricordarci sullo schermo il nostro passato, personaggi storici come Bettino Craxi di Hammamet di Gianni Amelio, il pentito Buscetta del Traditore di Marco Bellocchio o come l’avvocato opportunista degli Anni più belli di Gabriele Muccino, fino al papà eroe di Padrenostro per il quale è alla Mostra del cinema di Venezia, protagonista e coproduttore del film in gara per il Leone d’oro e in sala dal 24 settembre con Vision. La storia diretta da Claudio Noce è ispirata alla vicenda vera del regista, il cui genitore è stato vicequestore responsabile della sezione antiterrorismo di Lazio e Abruzzo, scampato ad un attentato dei Nuclei Armati Proletari il 14 dicembre 1976 e da lì in poi messo sotto scorta. «Questo film è una lettera a mio padre, per dirgli perché ho paura ancora oggi», dice cresciuto con l’incubo che i terroristi tornassero a finire il lavoro, respirando in famiglia l’aria pesante di quegli anni. Favino è appunto quel padre, Alfonso Noce nella realtà, «nel quale ho riconosciuto anche il mio, quei padri di una volta che non ti abbracciavano, non mostravano sentimenti, non piangevano perché se lo avessero fatto sarebbero stati 'meno maschì e tu dovevi capirli così', carpirne le emozioni di nascosto». Nel rapporto tra questo padre e il figlio protagonista traumatizzato dall’evento, c'è molto l'affresco della famiglia degli anni '70, quella non ancora cambiata dal femminismo e dalle istanze di parità, quella dei padri che non erano ancora amici dei figli e nascondevano ogni fragilità. Favino ci riesce benissimo, con i suoi gesti fermi, quello sguardo autoritario prima ancora che autorevole che tanti ragazzi di quel tempo hanno conosciuto in casa come modalità anche formativa. «Non ho rancore per quei genitori, era un loro modo di proteggerci», prosegue Noce che ha spiegato «l'emozione fortissima della proiezione privata di Padrenostro a Roma. Mio padre era felice, ha difficoltà a viversi le emozioni, ma io ho capito che lo era». Non ci sono i genitori, ma sul red carpet della Sala Grande è annunciato il leader della Lega Matteo Salvini con la compagna Francesca. «Non l’ho invitato io - dice Favino - ma nessuno di noi ha il diritto di impedire di essere spettatore di un film. Spero che non faccia un viaggio a vuoto. Vedendo il film si capisce che non è pro poliziotti, così come non è pro Nap, ma è una storia di bambini e di figli. Conosciamo la capacità di Salvini di essere al centro, è un bel segnale per il film, ma non credo in questo caso ci sia possibilità di manipolazione». Pierfrancesco Favino, nel raccontare di essere stato uno di quei figli a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, «bambino a letto dopo Carosello, a sentire dietro la porta le conversazioni dei genitori che non dovevamo ascoltare», rivendica anche la "laicità" e la «voglia di dialettica» di quella generazione, "sempre stata di lato dalla storia, non avendo vissuto il Sessantotto, gli anni '70, ma forse per questo capace di mettersi in contatto con tutti attraverso internet", senza paletti ideologici. «Sono stato un ragazzo con la Tolfa, con i vestiti a zampa, ho cercato di appartenere alle tensioni politiche di quel tempo, ma in realtà - dice l’attore, classe 1969 - non sono le mie davvero ed è invece il laicismo l’arma in più mia e dei miei coetanei». Claudio Noce, con la sua famiglia, racconta di essere cresciuto «con la paura, la scorta era la normalità, si mischiava con il gioco e l’immaginazione, ma ogni volta che li vedevo arrivare per me era un segnale di pericolo». Riportare a galla questa storia «doveva accadere prima o poi», la morte che con la pandemia si è riaffacciata nelle nostre vite ha fatto riemergere antichi timori. «Indosso la mascherina da febbraio, non sono affatto un negazionista - conclude Favino - ma spero che da questa emergenza non scaturisca una situazione di eccessivo individualismo».