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Piazza del Parlamento è diventata un’oasi
«Ma quanto è difficile poterci arrivare»

PALERMO. «L’aria è più pulita, ma ‘a grascia sempre quella è». Ramazza in un pugno e secchio d’acqua nell’altro, scherza così, ma non troppo, uno dei commercianti all’ombra di Palazzo dei Normanni, con la Cappella Palatina punta di diamante del nascituro diadema arabo-normanno dell’Unesco. Lui vende bibite atturrunate, ghiacciate, in un chiosco. Si fa serio e dice quello che in fondo tanti pensano: per il Palazzo che fu di tutti i Re l’idea funziona, dalla chiusura al traffico alla riscoperta di un patrimonio — fra reggia, Cappella e sontuose mostre temporanee al piano terreno — unico al mondo nel genere. «Gli unici veri problemi — dice a una voce con un residente — sono la pulizia delle strade e la difficoltà di arrivarci, in questa oasi. Ci vorrebbero navette a tratta brevissima, fino a piazza Marina o addirittura ai Quattro Canti. Anche utilizzando le Ape calesse o minibus, per consentire ai turisti frequenti soste, anche per lo shopping».
Percorso arabo-normanno, pure se qualche buongustaio al termine «arabo» preferisce «berbero». I dominatori di mille anni fa, infatti, sarebbero stati maghrebini di religione islamica. A Villa Bonanno, magari complice il sabato balneare, c’è tanta pace che si sentono le cicale, e un ragazzaccio in scooter «smarmittato», sulla piazza Vittoria che al traffico è rimasta aperta per consentire lo sbocco in via Bonello, fa l’effetto di una granata nel deserto. Antonio Civiletti, che all’ombra dei platani ha il banchetto dei bus turistici scoperti, quelli gialli che contendono il mercato della gita panoramica ai rossi, è entusiasta: «Io chiuderei tutta la piazza. Il turista che vede meno traffico, vive e assapora meglio la visita nel Palazzo. Mi auguro che anche i palermitani apprezzino il valore di un luogo d’arte circondato da un’oasi di silenzio e di riflessione».
Ben altri musi — lunghi, lunghissimi — fra gli ‘gnuri, i cocchieri, che sostano a ridosso di piazza Parlamento. Giacinto e Gaetano Federico insegnano i rudimenti al piccolo nipote Gabriele Pirrotta. Federico, antichissimo cognome di dinastie di proprietari di carrozze, mutuato direttamente dall’imperatore. All’ombra di quella dimora imperiale, il Palazzo dei Normanni, i loro avi prestavano già servizio di stallieri. «Questo parcheggio per le carrozze è antichissimo — dicono i due cocchieri — ora è un deserto. Prima le auto potevano parcheggiare, la gente scendeva, si faceva il giro in carrozza e gli affari andavano meglio. Ti voglio quando riapriranno le scuole, lì ti voglio...». Alla biglietteria, lato piazza Indipendenza, la fila è costante ma agile. L’addetto dietro il vetro parla un inglese senza rossori e dei quattro tornelli a lettura ottica, due per l’ingresso, altrettanti per l’uscita, soltanto uno, lato deflusso — ma suvvia, poca cosa — è temporaneamente inservibile. Assieme al biglietto è possibile acquistare (5 euro) da alcuni giorni, un’audioguida in sei lingue, arabo compreso, ed è offerta una brochure, pure multilingue. «Ci siamo fatti trovare pronti all’appuntamento — dice Francesco Forgione, direttore generale della Fondazione Federico II, che con il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone condivide la responsabilità dei siti — e dalla prossima settimana il materiale recherà la dicitura Patrimonio dell’Umanità. Spesa modica per le prime copie, 7-8 mila euro, ma fondamentale per iniziare ad accendere i riflettori sui nostri tesori. Quello che faremo, ora, è puntare sempre a un evento di rilievo internazionale che sia viatico per visitare Cappella e Palazzo, che hanno peraltro affascinato 370 mila visitatori l’anno scorso. Come è stato per Botero. In primavera ci sarà un’altra mostra e non rivelo di chi si tratta. Ma garantisco che manterremo il rango...». Al «piano Botero», le sale Duca di Montalto che ospiteranno sino a fine settembre la mostra del pittore colombiano, la Fondazione schiera truppe adeguate alla portata della sfida. A guidare l’accoglienza, una madrelingua inglese, nata negli Usa. Turisti sul velluto, non è difficile ammetterlo. Stessa scena con altre facce, su alla Cappella Palatina, che è, senza soluzione di continuità, gremita sala dei fiati mozzati. A fare gli onori, a turno, la stagista Chiara Guccione e altri tre giovani colleghi «prestati» dalla facoltà di Lingue dell’Università. Inglese-francese-spagnolo o inglese-tedesco-arabo i carnet disponibili per informazioni e assistenza.
Fuori, la famiglia Grasso (papà Mimmo, mamma Angela Toscano, la giovane Serena e la sorellina) vendono souvenir attrezzati con macchinette Pos, e riflette «su quanto sia cambiata Palermo a luglio: dal 2011 a oggi — dice Serena — i turisti si sono moltiplicati, grazie anche ai b&b low cost». E Marco Sanità, romano, già in coda a un’ora dall’arrivo in città, non fa sconti sul problema parcheggi: «A chi arriva in auto — dice — la scarsità e la mancanza di segnaletica sui parcheggi attorno alla città — mette vera ansia e confusione». Aridaje.

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