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Palermo, se la «munnizza» ispira un animo Candido

Nella chiesa di San Giovanni Decollato le opere dell’artista che, con sguardo fantasioso e disincantato, recupera gli oggetti che la gente abbandona tra i rifiuti. Pietra, metalli, ceramica, legno, plastica, polistirolo: tutto può essere riciclato e assumere nuova forma e nuova vita

PALERMO. «Il mio negozio è il cassonetto, le mie opere nascono dalla munnizza». E nei confronti di chi elegantemente vuole dribblare parlando invece di riutilizzo di materiali da riciclo, di società priva di valori dedita al consumismo sfrenato, Gai Candido spazza via ogni questione: munnizza è e munnizza resta, basta solo guardarci dentro e si trovano i miracoli.
Come il pannello de Il Mago di Palermo, dove a guardar bene, si scoprono fili e stracci addobbati come ex voto, un collage di elementi disarticolati raccolti attorno alla vecchia giacca che un improbabile magicien ha abbandonato scappando da una città metafisica e troppo reale. È questa l'opera che dà il titolo alla personale dell'artista palermitano, allestita - solo per pochissimi giorni - nella chiesa di San Giovanni Decollato, accanto alla Questura. In mostra pezzi inediti di Gai Candido, realizzati negli ultimi sei anni, a cura di Giuseppe Cipolla.
Gai Candido scherza con il suo cognome: il suo è uno sguardo singolare, fantasioso, ironico e disincantato, le sue mani recuperano le cose che la gente abbandona tra i rifiuti, e dona loro una vita leggera, impalpabile, intreccia le anime di un passapomodoro, di un tagliaverdure, di uno straccio, di un brandello di cuscino o di un falpalà: le sottolinea, le unisce, le colora e crea un oggetto diverso, un'opera d'arte che avvia un suo linguaggio a parte.
Che a sua volta sbarca veloce in un mondo fantastico, fiabesco, dove un «peso» da lavatrice e un osso di animale, fanno pensare ad una moneta antica o ad un'àncora di pietra (Sole nero) o ad una scultura (Bianco, nero e rosso).
È stato un viaggiatore, Gai Candido, in India lo chiamavano Ganesh, ama la gente e le culture: alcuni suoi pezzi dialogano con l'America Latina e la Turchia restando nel salotto di casa, toccano corde lontane e pescano tra rifiuti vicini.
«Totem arcaici, idoli solari, ragazze primordiali, sciamani invocano una genuinità smarrita: sono i protagonisti personaggi alla ricerca del Mago di Palermo, di un'identità, di una città irredimibile come la nostra», scrive Giuseppe Cipolla nella presentazione della personale.
Pietra, metalli, ceramica, legno, plastica, polistirolo, cartone, gesso, ossa di animali, pupazzi, stoffe, peluche, lacci, collane, gingilli: nulla è troppo sfatto per Candido, tutto può diventare uno stendardo OGM («oggetto geneticamente modificato») o avere un cuore di bimbo: in questo caso i giocattoli abbandonati diventano un grimaldello, un oggetto sacro, un qualcosa di lontano e vicino nello stesso tempo.
Cipolla chiama in campo il Doganiere Rousseau, Picasso, Baj e Fautrier, passando per il pop americano e infine per il nouveau réalisme, i lavori in juta di Angelo Mazzoleni e la fiber art.
Gai Candido ti guarda leggero: cresciuto in seno all'Accademia di Belle Arti ha una salda cultura figurativa, ma gli piace azzerarla a favore di un vissuto quotidiano che tende alla purezza del bambino, allo sguardo incantato di chi crede nelle fiabe.
La mostra sarà aperta nella Chiesa di San Giovanni Decollato oggi e domani dalle 17 alle 20, sabato dalle 10 alle 13.

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