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L’arte al gusto di caffè: il giro del mondo firmato Fausto Roma

La mostra al «Vittoriano». In esposizione nella capitale anche «Eneide», la losanga di preziosi portata a bordo della navicella spaziale italo-russa «Soyuz 10s»

CATANIA. Bollitura, infusione, filtrazione, pressione. Qualunque sia il vostro modo di prepararvi un caffè, che vi piaccia «alla turca» o «noir» o — com’è più probabile — «espresso», sappiate di trovarvi di fronte a un’autentica «ragion d’essere» esaltata da pittori e scrittori. Come Honorè de Balzac che scrisse un «Trattato sugli eccitanti moderni», riservando un posto d’onore alla più amata tra le tazzine. Al Principe delle Bevande, il pittore e scultore Fausto Roma dedica adesso la personale «Le Terre del Caffè», che resterà aperta sino al 18 maggio nelle sale capitoline del «Vittoriano».
Omaggio alla Natura, ancor prima che a un chicco capace di regalare aromi e umori, la personale offre al visitatore l’ebbrezza di un giro del mondo in ventinove acrilici, fatto di simboli e suggestioni. Dedicate a Messico e Indonesia, Etiopia e Nuova Guinea, Guatemala e Congo, Colombia e Hawaii, India e Giamaica, le opere su tela stampata insieme con «Eneide» — la losanga di preziosi che venne portata a bordo della navicella spaziale italo-russa «Soyuz 10s», partita il 15 aprile 2005 da Baykonur — formano un percorso di esperienze e ricerca stilistica decisamente coinvolgente. Lo ha curato Claudio Strinati, l’ex Soprintendente del Polo museale romano che ha tra l’altro firmato per Sellerio la splendida trilogia su «Il mestiere dell’artista». Del lavoro di Fausto Roma, lo studioso parla evidenziando «la sua astrazione che in un certo senso è fatta di concretezza», mentre Philippe Daverio nel catalogo della mostra esalta il «personaggio eccentrico nel paesaggio attuale delle arti in Italia, che sembra un narratore». «Uno scrittore descrittore della propria pittura», conclude Daverio.
Nato a Ceccano cinquantanove anni fa, Fausto Roma è un contemporaneo che s’è lasciato contaminare dalla produzione degli esponenti dell’Arte Povera — così Germano Celant definì alla fine degli anni Sessanta il movimento formato, tra gli altri, da Alighiero Botti, Jannis Kounellis e Luciano Fabro — e ha, poi, scelto una sua via espressiva, segnata da totem e richiami a Madre Terra. Inevitabile, quindi, pensare al caffè. Che è dono di natura e simulacro di vita quotidiana. Ma soprattutto spunto e pretesto per manifestare una vocazione di originalissimo «geografo», di cui scrive Michele Ainis nel catalogo della mostra: «Qui c’è un aspetto della creatività di Fausto Roma che ne condensa forse l’essenziale, la cifra dominante. I suoi quadri descrivono grandi territori: l’India, il Brasile, il Congo, ciascuna delle 16 aree geografiche in cui cresce la pianta del caffè».
«Ogni quadro — continua Ainis — muove da un ingrandimento modulare a stampa di fotografie satellitari: vaste terre osservate dall’alto del cielo. Ma in tutti questi quadri la mano dell’artista disegna un reticolo di linee, svolazzi, ghirigori». «Spesso — conclude — i segni appaiono punteggiati al proprio interno, come un ricamo all’uncinetto. Oppure sono segni doppi, che corrono per rami parallelli... Così il particolare diventa generale, così il microsistema genera macrofigure».
«Le Terre del Caffè», personale di Fausto Roma curata da Claudio Strinati, è ospitata dal complesso del Vittoriano in via San Pietro al Carcere, Roma. Ingresso gratuito. Orari: dal lunedì al giovedì 9.30-18.30; venerdì, sabato e domenica 9.30-19.30.

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