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Installazioni, la rinascita di Palermo? Una boa sul mare

Una creazione di Fabio Ciaravella, Umberto Daina e Vincenzo Fiore alla Galleria Francesco Pantaleone metafora del degrado architettonico del centro storico. Come un’identità incatenata alla rovina o in balia delle onde, la struttura vuole richiamare l’assenza di volontà e progetto

PALERMO. Un allarme di pietra e nostalgia su quello che poteva essere e non è stato il centro storico di Palermo, sono quattro boe rosse che non si cullano nel mare ma sono svenute a terra e denunciano il degrado dietro le facciate, architetture brutalizzate da impalcature e pareti divisorie, la bellezza perduta nel vago di norme e di promesse, di annunci di rinascita. Di fatto è una identità incatenata alla rovina, un atto emozionale di pietra e boe l'installazione Come un quadrato sul mare dello Studio Plus Plus nella Galleria Francesco Pantaleone Arte contemporanea (via Vittorio Emanuele 303, dove sarà esposta con altre opere fino al 10 maggio). È un lavoro ideato da Fabio Ciaravella (1982), Umberto Daina (1979) e Vincenzo Fiore (1981) che si formano alla facoltà di Architettura di Firenze, lavorano fra Palermo, Firenze e New York, oggi autori di «nuovi dispositivi fascinativi di perdita dei sistemi di riferimento convenzionali». E con l'installazione che si colloca a poche centinaia di metri dagli storici palazzi Di Napoli e Costantino che sono in attesa di restauro ai Quattro Canti di Palermo, incatenano ai pilastri le boe che sognano l'instabilità del mare. Nel loro duplice ruolo di rappresentare non solo la rinascita incatenata ma anche «uomini e cose in balia del movimento del mare incerto e poetico, che ha grande attinenza con la precarietà della nostra condizione attuale».
«Un lavoro-progetto sullo stato dell'architettura a Palermo che di fatto è rimasta rovina, identità smarrita, un'architettura assente, irresponsabile, instabile come le boe sul mare», spiega anche la curatrice dell'installazione Agata Polizzi. Sottolineando che ogni opera di Come un quadrato sul mare «contiene in sé una metafora che si riferisce a due dimensioni esistenziali: quella dell'architettura e quella dell'uomo, entrambe oggi corrose dal senso di instabilità e di assenza, dalla mancata presa di responsabilità, e su questo tema in particolare una galleria d'arte che ha sede nel centro storico della città vuole aprire una riflessione sulla condizione in cui versano molti palazzi storici, consegnati al degrado e all'incuria».

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