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Un incontro tra sogno e realtà nel romanzo di Roy-Bhattacharya

Il cantastorie di Marrakech mostra quanto uno straniero possa amare terre di fascino impenetrabile e trarne ispirazione. Un libro impegnativo e ricco di suggestioni

CATANIA. Non fate caso al nome, impronunciabile, ma a ciò che scrive. Joydeep Roy-Bhattacharya è un romanziere americano di origini indiane che parla di Nord Africa ai suoi lettori con l'incantato stupore e l'intensità di un «poeta in prosa». Nel suo «Il cantastorie di Marrakech» (Mondadori, pp. 327, 19 euro e 50 centesimi)  mostra quanto uno straniero possa amare terre di fascino impenetrabile e trarne ispirazione, esaltandosi come accadde a Eugene Delacroix. Per Joydeep Roy-Bhattacharya, Marrakech rappresenta ciò che Tangeri e Algeri sono state per l'immenso artista francese dell'Ottocento, caposcuola dell'Orientalismo, capace di influenzare generazioni di pittori da Renoir a Klee, a Kandisky.
«Il cantastorie di Marrakech» è la narrazione collettiva dell'incontro sospeso tra il sogno e la realtà con una misteriosa coppia di forestieri dal destino incerto, il racconto di un attimo fuggente che viene rivissuto da una piccola folla radunata in piazza attorno all'incantato interprete di una millenaria cultura di tradizione orale della storia e del mito. Franco-americana lei, indiano lui, i due sono i «convitati di pietra» di una piccola e inutile ricerca corale della verità sull'improvvisa comparsa e l'altrettanto fugace scomparsa dei misteriosi ospiti in terra marocchina. Un passaggio veloce come il vento, impalpabile come la sabbia del deserto. Che, però, segna e sconvolge a tal punto da indurre i protagonisti a interrogarsi sull'«abisso dell'esistenza» in una sorta di originalissima seduta di psicoanalisi di gruppo cui l'autore dedica il cesello della sua scrittura, distillando parola  su parola in un libro impegnativo e ricco di suggestioni.

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