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Immagini e parole raccontano la vita del carcere

Nel suo libro "Sotto uno stesso cielo", la catanese Donatella Polizzi svela la realtà di alcuni penitenziari italiani tra i quali l'Ucciardone

CATANIA. C'è chi scavalca per entrare in un carcere, piuttosto che per uscirne. Magari sperando di abbatterne le mura, con una macchina fotografica a tracolla. È «l'evasione al contrario» di Donatella Polizzi, artista catanese che ha realizzato un viaggio nel mondo penitenziario italiano e ora firma il libro di storie e immagini Sotto uno stesso cielo (Bonanno editore, 68 pagine, 12 euro). Vincendo ataviche barriere sociali, anzi animata da una gran voglia di «contaminarsi», Donatella Polizzi ha affidato alla sua penna e al suo scatto la descrizione di autentici giacimenti di umanità chiamati «Ucciardone», «Opera», «Bicocca», «Sollicciano», «Piazza Lanza». Immediati e complessi al tempo stesso, i «biancoenero» dell'autrice sono immagini che travolgono ogni convenzione descrivendo storie contenute in uno sguardo. Sono istantanee, d'altronde, anche le pagine scritte da Donatella Polizzi. Righe fulminanti, come il racconto di una detenuta: «Sono la seconda di cinque figli, la più maledetta, perché sono nata dopo che mio fratello era nato morto e perché sono femmina». O il flash di un recluso: «Ho ucciso il mio usuraio. Cinque pugnalate e l'ho visto scivolare a terra. Lo portai in ospedale. Assurdo ma l'ho fatto. E poi l'arresto. E mia madre sul ciglio della strada che mi guardava e nei suoi occhi ho letto una domanda: “Chi ho creato?”. Non mi ha mai chiesto niente, lei». Ha ragione Ferdinando Testa, lo psicanalista che nella sua prefazione a Sotto uno stesso cielo ha scritto: «Questo è un viaggio, come i veri viaggi dell'Anima, all'insegna dell'autenticità delle emozioni e dei vissuti». Viaggio autentico, quello di Donatella Polizzi. Anche se il fotografo può selezionare oggetti e soggetti della propria ricerca, filtrando così la realtà, sono maledettamente vere e persino spietate le immagini di questo libro affollato di «poveracci». Perché davvero le nostre carceri sono affollate da «poveracci», come ha impietosamente sottolineato un altro catanese, Salvatore Aleo. Ordinario di Diritto penale, Aleo nel suo Criminologia e sistema penale (Cedam, 339 pagine, 27 euro) non a caso osserva: «In Italia, oggi, in carcere un terzo dei detenuti sono extracomunitari e un altro terzo sono tossicodipendenti... Non può certo dirsi, però, che un terzo dei delitti commessi sul nostro territorio nazionale siano opera degli extracomunitari e un altro terzo dei tossicodipendenti... Questi mi sembrano numeri di fallimento del sistema penale. Si pensi d'altronde al numero dei processi che si prescrivono. Non mi sembra un'esagerazione affermare che in carcere ci vanno soprattutto i poveracci e gli sfortunati».

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