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Muore l'armatore ed ex deputato Amedeo Matacena. Era latitante negli Emirati Arabi

Amedeo Matacena

È morto Amedeo Matacena, l'armatore ed ex deputato di Forza Italia al centro delle cronache giudiziarie degli ultimi anni per la sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa e la latitanza negli Emirati Arabi Uniti dove si era rifugiato per sottrarsi ai 3 anni di carcere che la legge italiana gli aveva inflitto. Nativo di Catania ma adottato da Reggio Calabria, classe 1963, Amedeo Matacena è deceduto a Dubai "Vecchia" dove ormai viveva da anni dopo aver avvertito un malore che non gli ha dato scampo. Secondo le prime notizie sarebbe stato colpito da un infarto e non c'è stato nemmeno il tempo di essere soccorso.

Matacena, in passato, era stato legato all’annunciatrice televisiva Alessandra Canale. Dopo il divorzio dalla moglie, Chiara Rizzo, si era da poco risposato con Maria Pia Tropepi, ex modella e medico. Il padre di Matacena, Amedeo senior, morto nel 2003, aveva creato la società «Caronte» per la gestione dei servizi di traghettamento nello Stretto di Messina ed era stato presidente della Reggina calcio.

Attivissimo in politica fin dalla fondazione di Forza Italia, seppure con un passato nel Pli, Matacena viene eletto a Montecitorio nel 1994 nel collegio uninominale di Reggio Calabria-Villa San Giovanni nel Polo del Buongoverno, seggio che riconquista nel 1996, fino al 2001, quando, inaspettatamente non viene ricandidato. Su di lui, infatti, pende fin dagli anni '90 la maxi inchiesta «Olimpia», un’indagine della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria in cui furono ricostruiti i rapporti mafia-politica a Reggio e in Calabria e molte delle vicende sanguinose scaturite dalla così detta seconda guerra di ndrangheta, iniziata con l’omicidio del boss Paolo De Stefano, il 10 ottobre del 1985, ad opera di alcuni gruppi secessionisti, a lui prima legati.

Da quelle vicende, iniziano i guai giudiziari per l’ex parlamentare. Scaricato da Forza Italia e senza l’immunità parlamentare, Amedeo Matacena è inseguito dagli inquirenti soprattutto per i suoi asseriti rapporti con la cosca Rosmini, una delle più potenti del panorama ndranghetistico reggino, di cui si era avvalso, secondo l’accusa, per ottenerne l’appoggio elettorale. Matacena, nel luglio 2012, subisce la prima condanna in Appello, anche per i suoi contatti con il clan Alvaro di Sinopoli. Fu fotografato al matrimonio della figlia del boss Carmine Alvaro 'u cupertuni», fino alla sentenza definitiva della Cassazione a tre anni di reclusione, inflittagli nel luglio 2014, dopo numerosi ricorsi e contro ricorsi.
Al momento della condanna, Amedeo Matacena era già residente nel Principato di Montecarlo, dove si era sposato con Chiara Rizzo, appartenente ad una famiglia borghese di Messina. L’ex parlamentare, in maniera ancora non chiarita, anticipa la richiesta di estradizione e riesce a raggiungere le isole Seychelles, e da lì, ripara a Dubai, dove viene immediatamente fermato da operatori della intelligence italiana che gli sequestrano il passaporto, notificandogli il mandato di cattura internazionale. Nella fuga all’estero, secondo le indagini condotte dal Procuratore distrettuale aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, viene aiutato dall’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, ed un successivo tentativo di Matacena di raggiungere il Libano, viene bloccato per indisponibilità delle autorità della Repubblica mediorientale. Claudio Scajola, per procurata inosservanza della pena, verrà successivamente condannato in primo grado dai giudici di Reggio Calabria a un anno di reclusione.

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