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Ottantatré anni fa nasceva Falcone: «La mafia finirà»

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Avrebbe compiuto 83 anni, oggi, Giovanni Falcone, nato a Palermo il 18 maggio 1939. Il padre, Arturo, era direttore del Laboratorio chimico provinciale. La madre, Luisa Bentivegna, casalinga. Terzo figlio dopo due sorelle, Anna e Maria, amava lo sport. Ucciso dalla mafia insieme alla moglie Francesca Morvillo e alla scorta il 23 maggio di 30 anni fa, era cresciuto alla Kalsa, l’antico quartiere arabo nel cuore di Palermo, dove si intrecciavano destini diversi. Dopo il liceo classico e la facoltà di giurisprudenza era diventato magistrato.

STRUTTURA UNITARIA
Tra i primi a comprendere la struttura unitaria e verticistica di Cosa nostra, ha creato un metodo investigativo diventato modello nel mondo. Rigorosa ricerca della prova, indagini patrimoniali e bancarie, ostinata caccia alle tracce lasciate dal denaro e lavoro di squadra sono stati i suoi fari, le armi con le quali, insieme al pool antimafia, ha istruito il primo maxiprocesso a Cosa nostra che si concluse con 19 ergastoli e condanne a 2.665 anni di carcere.

LA MAFIA DEI DUE MONDI
Oltre 40 anni fa Giovanni Falcone capì che le mafie si apprestavano a varcare i confini italiani e teorizzò l’importanza della cooperazione giudiziaria internazionale. A lui, al suo lavoro, al suo sacrificio è stata intitolata la risoluzione approvata all’unanimità da 190 Paesi nel corso della X Conferenza delle Parti sulla Convenzione di Palermo del 2000 contro il crimine transnazionale che si è tenuta a Vienna ad ottobre del 2020. Contro il mito negativo dell’invincibilità di Cosa nostra diceva: «La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà una fine».

AFFARI E FACCENDIERI
Nel 1965 il primo incarico come pretore a Lentini, dove si ferma due anni. Nel 1967 Trapani. L’approdo a Palermo coincide con un momento molto grave per la città, che nel settembre del 1979 aveva assistito all’uccisione del giudice Cesare Terranova. Rocco Chinnici, il magistrato che era stato mandato a dirigere l’Ufficio Istruzione e che da tempo invitava Giovanni Falcone a seguirlo, riesce finalmente a convincerlo. Appena Falcone comincia a leggere le carte delle indagini sull'imprenditore mafioso italo-americano Rosario Spatola, si rende conto di essersi imbattuto in un’inchiesta che riguarda i piani alti della mafia economica e finanziaria. Un’inchiesta che, muovendo da Cosa nostra militare palermitana, passa per il mondo politico-finanziario di Michele Sindona e arriva fin negli Stati Uniti e al gruppo mafioso legato al faccendiere siciliano. Si tratta della più potente associazione criminale dell’epoca, che controlla in quegli anni il commercio mondiale della droga di cui reinveste gli enormi proventi in attività lecite dopo averli ripuliti attraverso le banche. Estende le ricerche al campo patrimoniale, una via fino ad allora poco esplorata, riuscendo a superare il segreto bancario e ottiene la collaborazione di istituti di credito e finanziarie nazionali ed estere per ricostruire i movimenti di capitali sospetti. Le indagini danno il risultato sperato e il processo Spatola si conclude con condanne esemplari. E’ la prima incrinatura nel muro dell’invincibilità di Cosa nostra.

PALERMO COME BEIRUT
Ma la reazione non si fa attendere: il 29 luglio 1983 un’autobomba massacra Chinnici insieme alla scorta e al portiere della sua casa in via Pipitone. Le immagini di «Palermo come Beirut», il palazzo di Chinnici devastati, fanno il giro del mondo. La mafia aveva già ucciso il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, il vice-questore Boris Giuliano, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il giornalista Mario Francese, i presidenti della Regione Pier Santi Mattarella.

Ammazzati dai mafiosi anche il segretario del Pci siciliano Pio La Torre, il procuratore Gaetano Costa, il giudice Cesare Terranova, l’agente di polizia Calogero Zucchetto, il medico Paolo Giaccone, e, come estrema sfida, il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, mandato a Palermo, senza poteri e senza mezzi, per contrastare i clan. Verrà ucciso a colpi di kalashnikov con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo il 3 settembre del 1982, a 100 giorni dal suo insediamento.
Giovanni Falcone nel 1979 conosce Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e se ne innamora. Si sposano nel 1986. Uno dei testimoni è Antonino Caponnetto, capo del pool antimafia. Laureata a 22 anni in Giurisprudenza con una tesi su «Stato di diritto e misure di sicurezza», un lavoro premiato con il riconoscimento Giuseppe Migliore per la miglior tesi nelle discipline penalistiche del suo anno di laurea, il 1967, cresce con la passione per la toga. Un amore di famiglia in casa Morvillo. Magistrato era il padre Guido, magistrato il fratello Alfredo, che lavorerà poi con Giovanni Falcone.

IL POOL
All’indomani dell’assassinio di Rocco Chinnici, come suo successore a dirigere l’Ufficio Istruzione viene mandato Antonino Caponnetto. Nasce il pool antimafia, la squadra che dovrà affrontare Cosa nostra per quel che è: non un insieme di bande, ma, secondo l’ipotesi di Falcone, che Caponnetto condivide, un’organizzazione unica con struttura verticistica al cui interno non esistono gruppi con capacità decisionale autonoma. Il frutto più importante dell’attività del pool, composto da Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta, sarà il maxi-processo. All’origine della mega-inchiesta c'è il rapporto di polizia redatto da Ninni Cassarà, vice questore della squadra mobile e stretto collaboratore di Falcone: è la ricostruzione minuziosa dell’origine della guerra di mafia che porterà i corleonesi di Totò Riina ai vertici dell’organizzazione criminale.
Alla fine del 1984 il pool è al massimo dell’impegno e dei risultati: a ottobre, in Canada, Falcone ottiene le prove che gli consentiranno di arrestare Vito Ciancimino con l’accusa di associazione mafiosa e di esportazione di capitali all’estero. Qualche giorno dopo vengono arrestati per mafia anche gli intoccabili esattori di Palermo, Nino ed Ignazio Salvo.

Quando Caponnetto viene informato che dal carcere è partito l’ordine di uccidere anche Giovanni Falcone e il collega Paolo Borsellino, che devono scrivere l’ordinanza sentenza di rinvio a giudizio del maxiprocesso, fa trasferire immediatamente entrambi all’Asinara.
L’8 novembre del 1985 il pool deposita l’ordinanza di rinvio a giudizio contro 475 imputati. Il 10 febbraio 1986 inizia il primo maxiprocesso a Cosa nostra: ventidue mesi di udienze in un’aula bunker appositamente costruita in cemento armato, in grado di resistere anche ad attacchi missilistici. Alla sbarra il gotha di Cosa nostra. Gli imputati sono accusati di 120 omicidi, traffico di droga, estorsione e associazione mafiosa. Decisivo il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi, catturato in Brasile due anni prima. Il 16 dicembre del 1987 il presidente della Corte d’Assise, Alfonso Giordano, legge la sentenza. Ai 339 imputati vengono inflitti 19 ergastoli e 2665 anni di carcere. Il 20 giugno del 1989 Falcone sfugge a un agguato nella villa all’Addaura: un borsone con cinquantotto candelotti di dinamite posto sulla scogliera dove era solito fare il bagno, viene trovato per caso da un agente della scorta. Il giudice parla di «menti raffinatissime».

LA SUPERPROCURA
Il clima ostile del Palazzo di giustizia di Palermo cresce e Falcone decide accogliere l’invito del ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli a ricoprire il ruolo di direttore degli Affari penali al ministero dove prende servizio nel novembre del 1991. Suggerisce la costituzione di un ufficio centrale nazionale che prenderà il nome di Direzione nazionale antimafia, la Superprocura. Prende corpo il carcere duro (il 41 bis) per mafiosi e terroristi. Il 30 gennaio del 1992, con una sentenza storica, la Cassazione riconosce valido l’impianto accusatorio che aveva portato alla sentenza di primo grado del maxiprocesso. Il cosiddetto «teorema Buscetta» è sancito definitivamente.

CAPACI
Il 23 maggio 1992, Giovanni e la moglie Francesca, di ritorno da Roma, atterrano a Palermo con un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall’aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40. Tre auto blindate li aspettano.
Dopo aver imboccato L’autostrada che porta a Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci, una terrificante esplosione disintegra il corteo di auto e uccide Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

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