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La Corte dei conti: corruzione e spese allegre bloccano gli uffici pubblici in Sicilia

La «paura della firma» nella pubblica amministrazione viene spesso evocata dai funzionari per sottrarsi al rischio di rispondere di un danno erariale ma così si rischia di premiare un senso di impunità, E l’allarme lanciato dal presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana, Vincenzo Lo Presti, nella relazione di apertura dell’anno giudiziario. «L’attività della Corte dei conti - ha detto - non deve essere vista con diffidenza da parte dei pubblici amministratori che, per la gran parte, sono certamente onesti e diligenti e svolgono il loro lavoro con dedizione e con l’orgoglio di essere utili al Paese. Chi amministra, nel rispetto delle leggi e secondo buon senso, non ha mai avuto e non avrà mai nulla da temere». Alcune norme recenti hanno tra l’altro ristretto il campo delle responsabilità solo alle ipotesi di dolo o di colpa grave. Negli altri casi non si procede. «Appare evidente - secondo Lo Presti - come ciò, da un lato, riduca l’area del danno risarcibile (ponendo quindi, a carico della collettività le conseguenze dannose derivanti da comportamenti pur gravemente colposi di pubblici amministratori e dipendenti) e, dall’altro, potrebbe indurre sensazioni di impunità e, quindi, una minore attenzione nella gestione delle risorse pubbliche, con un incauto avvicendamento: dalla ‘paura della firmà al coraggio dell’impunità». Si tratta di un rischio che suscita molte perplessità specie in un momento in cui la gestione delle risorse del Pnrr e le misure contro la crisi indotta dall’emergenza sanitaria richiedono «la massima oculatezza nella gestione delle pubbliche finanze». «Credo che nessuno - ha concluso Lo Presti - affiderebbe la gestione del proprio denaro ad un amministratore che ne risponderà solo per dolo».

Condanne per oltre 36 milioni

Corruzione, inadempienze, comportamenti dolosi in grado di produrre danni, anche gravi, sono ancora le criticità più significative che caratterizzano la pubblica amministrazione in Sicilia segnala ancora  il presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana. Un dato, tra gli altri, è ritenuto molto indicativo. Malgrado un vuoto di organico del 27 per cento, in Sicilia la Corte dei conti ha emesso 126 sentenze in materia di responsabilità amministrativa nei confronti di 222 amministratori o dipendenti pubblici e ha pronunciato condanne per 36 milioni e 875.768 euro. Le sentenze toccano amministratori e dipendenti che hanno indebitamente disposto, a vantaggio loro o di altri, la liquidazione di indennità ed emolumenti non dovuti ma anche privati che hanno chiesto e indebitamente ottenuto contributi pubblici oppure ne hanno fatto un uso diverso da quello per il quale erano stati concessi. Si sono così vanificate le finalità pubbliche. Sono stati condannati ancora dipendenti pubblici che, violando il principio di esclusività del rapporto di pubblico impiego, hanno svolto attività professionale privata, anche in concorrenza con la struttura pubblica presso la quale prestavano servizio in qualche utilizzandone mezzi e personale. La casistica comprende pure amministratori che hanno attribuito incarichi esterni per attività che dovevano essere svolte da personale in servizio presso l’ente o, per le quali, la legge non consentiva il ricorso a professionalità esterne. Condannati anche sanitari per risarcimenti erogati dalle strutture sanitarie a pazienti lesi da comportamenti gravemente colposi. Nel mirino della Corte dei conti sono finiti anche amministratori e dipendenti, definitivamente condannati in sede penale per avere leso gravemente l’immagine della pubblica amministrazione oppure per avere determinato la soccombenza processuale dell’amministrazione e il conseguente obbligo del risarcimento del danno e delle spese processuali in favore di terzi.

Albo: vigilare sulla gestione dei fondi del Pnrr

«La gestione dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta un momento estremamente delicato che richiede un passo avanti sotto il profilo culturale, non solo delle magistrature ma anche delle forze di polizia e, soprattutto, da parte dell’amministrazione che è chiamata a gestire flussi finanziari che purtroppo attirano gli appetiti finanziari della criminalità organizzata. Sarà fondamentale recepire sotto il profilo culturale il concetto di prevenzione finanziaria. Per evitare l’intervento a valle della magistratura, i controlli devono essere eseguiti a monte, quando vengono finanziati i progetti»,  detto il procuratore regionale della Corte dei conti in Sicilia, Gianluca Albo, a margine dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. «Questo è il momento di una scommessa culturale che comporta un impegno da parte di tutti - ha proseguito il procuratore contabile -. Fino ad ora siamo stati abituati a un sistema di gestione ordinario, a cui seguiva una fase di controllo e poi di verifica a valle. In questa fase è importante consentire e conciliare velocità e controllo già a monte - ha aggiunto - perché a valle si accerta solo la distrazione che di solito è affidata a delle teste di legno ma poi non si recuperano le somme illecitamente sottratte».

In dissesto oltre un comune su dieci

Cresce in Sicilia nel 2021 il numero dei Comuni in dissesto: con un incremento nell’ultimo anno di altri 7. Salgono così a 48 il totale delle amministrazioni in difficoltà finanziarie. Sulla gestione di bilancio degli enti locali, infatti, emergono criticità di natura strutturale, riferite tanto ai comuni di grandi dimensioni che a quello di media-piccola dimensione, di procedere alla riscossione delle entrate tributarie e patrimoniali, in misura idonea e sufficiente ad assicurare l’equilibrio finanziario». E’ quanto emerge dalla relazione del presidente della Sezione di Controllo e delle Sezioni Riunite per la Regione siciliana della Corte dei Conti, Salvatore Pilato, illustrata oggi nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. A causa di una diminuzione delle entrate tributarie, la situazione finanziaria degli enti territoriali nell’Isola è connotata «dalla sussistenza di elevati disavanzi dovuti - prevalentemente - agli accantonamenti per le anticipazioni ricevute in passato dallo Stato e alla presenza di elevati crediti di dubbia e difficile esazione, che gravano su un sistema di riscossione contraddistinto da livelli di efficienza molto modesti».

Il business acqua, sprechi e costi dilatati

A Giarre l’acqua veniva sprecata, a Lipari veniva sottoutilizzato il depuratore e si faceva un ricorso eccessivo alle navi cisterna con un costo molto più elevato. Sono i due casi più significativi di cattiva gestione delle risorse idriche su cui è intervenuta la Procura generale della Corte dei conti per la Regione siciliana che ha citato in giudizio del sindaco di Lipari, Marco Giorgianni, e alcuni funzionari. Le due vicende sono segnalate nella relazione per l’anno giudiziario del procuratore Gianluca Albo da poco nominato procuratore regionale a Trento. A Lipari il sistema idrico dell’isola è alimentato da un dissalatore e dai rifornimenti con navi cisterna. L’acqua prodotta dal dissalatore costa circa 2 euro al metro cubo. Se ne fa carico per il 40 per cento il Comune e per il 60 la Regione. L’acqua rifornita dalle navi cisterna costa invece 14 euro al metro cubo pagati dal ministero della difesa. La Guardia di finanza ha accertato che il Comune non ha mai impegnato somme sufficienti per acquistare l’acqua prodotta dal dissalatore. Secondo la Procura della Corte dei conti, sarebbe stato così provocato al ministero della difesa un danno di due milioni e 698.309 euro. E ha chiamato a risponderne il sindaco, l’assessore con delega ai servizi idrici e il dirigente del servizio tecnico nonché dirigenti della Regione competenti per il rifornimento idrico delle isole minori della Sicilia. A Giarre, nel Catanese, la Procura della Corte dei conti ha citato in giudizio i dirigenti del servizio idrico del Comune, Venerando Russo e Giuseppa Rita Leonardi per un danno complessivo di 6 milioni e 305.353 euro. Solo il 20 per cento dell’acqua immessa nella rete idrica veniva realmente utilizzato mentre l’80 per cento veniva sprecato. Finiva cioè nelle fogne della città. Per giustificare il ricorso ai fornitori privati veniva dichiarata una «insufficienza delle fonti idriche di proprietà comunale».

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