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In Italia in 100mila uccisi dal Covid, tra i peggiori Paesi al mondo

Oltre centomila morti. Una soglia terribile, superata oggi, che pone l’Italia tra i Paesi peggiori al mondo per mortalità da Covid-19. Un lunghissimo elenco iniziato il 21 febbraio del 2020 con Adriano Trevisan, 77enne pensionato di Vò Euganeo e prima vittima ufficiale del virus nel nostro Paese, e proseguito a ritmi forsennati, a parte i due mesi di «tregua» estiva quando i decessi erano poche unità al giorno.

Entriamo così nel poco ambito gruppo di Paesi che hanno superato i centomila decessi: erano cinque, con gli Usa capofila (537mila morti), seguiti da Brasile (265mila), Messico (190mila), India (157mila) e Regno Unito (124mila) cui si aggiunge, da oggi, l’Italia.

Prima per numeri assoluti nell’Unione Europea, dunque, con la Francia che segue (oltre 10mila morti in meno), e Spagna e Germania distaccate (30mila in meno). Ma oltre al dato assoluto, anche gli altri indici collocano l’Italia tra le maglie nere mondiali: il tasso di letalità, ad esempio, ossia quante sono le vittime rispetto ai contagiati. Il nostro Paese viaggia su un poco incoraggiante 3,25%, dato sicuramente influenzato però dagli scarsi test eseguiti nella prima ondata, quando la letalità superava l’8%, segno che il denominatore, ossia il numero totale di contagi, era fortemente sottostimato.

In ogni caso è il dato peggiore in Europa, a parte Grecia (3,29), Ungheria (3,41) e Bulgaria (4,08). In Usa, Paese in testa per numero di decessi, il tasso di letalità ad esempio è dell’1,81%. In Gran Bretagna, unico paese europeo con più morti dell’Italia, è del 2,95%. E i nostri vicini più stretti fanno tutti meglio: 2,86 la Germania, 2,26 la Spagna e 2,24 la Francia.

Mentre l’indice più incontestabile, ossia il tasso di mortalità rispetto alla popolazione generale, vede la Gran Bretagna con numeri peggiori dei nostri: 1,827 morti per mille abitanti contro l’1,652 dell’Italia. Gli Usa sono a 1,618, il Brasile 1,243.

Una situazione su cui gli esperti si interrogano da un anno, senza fornire ancora una spiegazione univoca: l’ipotesi più accreditata è che ci sia una serie di concause. L’aspetto demografico, che vede l’Italia tra i Paesi più anziani del mondo (ma le altre nazioni del «Vecchio Continente» non hanno età medie così più basse), il cataclisma della prima ondata che ci ha travolti per primi, la grande differenza territoriale della stessa prima ondata, dove i tanti decessi erano concentrati al Nord, in Lombardia soprattutto, causando quasi subito la saturazione dei sistemi sanitari.

Oggi però la situazione è diversa: secondo l’ultimo report Iss sulle caratteristiche dei pazienti deceduti, nella prima fase in Lombardia si contavano addirittura il 47,7% dei decessi totali. Percentuale scesa al 32,9% da giugno a settembre, e al 18,6% in questa nuova fase, da ottobre 2020 al marzo 2021.

Proprio la scansione in fasi aiuta a capire cosa è successo: la prima ondata, da marzo a maggio 2020, ha provocato oltre 54mila vittime in tre mesi. È stato il momento peggiore, più acuto. Poi il periodo della «grande tregua», da giugno a settembre 2020, quando i morti sono stati 1.846. Per mesi, insomma, il tragico bilancio ha oscillato intorno alle 35mila vittime. Per poi ripartire rapidamente in autunno, spazzando via le promesse di «virus più buono» ma anche di un sistema sanitario pronto, con tracciamento potenziato e dispositivi di protezione finalmente disponibili in abbondanza, a resistere al nuovo tsunami. Così non è stato: a fine anno le 35mila vittime erano già raddoppiate, e da ottobre a marzo sono 60mila gli italiani morti.

Il virus, insomma, continua a uccidere come prima. E l’identikit di chi non ce l’ha fatta è sempre tristemente simile: l’età media dei deceduti è di 81 anni. Il 60% delle vittime ha più di 80 anni, un altro 25% dai 70 ai 79 anni. Si conta poco più dell’1% delle vittime sotto i 50 anni, e sotto i 40 si possono contare uno a uno: sono 254. Di questi, 36 non avevano patologie di rilievo. Mentre la stragrande maggioranza dei deceduti avevano malattie pregresse, nel 66% dei casi addirittura 3 o più.

Una fotografia di un Paese anziano, dove si vive tanto, ma probabilmente gli ultimi anni si vive male. Cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, ictus, ipertensione arteriosa, demenza, insufficienza renale cronica, insufficienza respiratoria: queste le principali patologie dei pazienti anziani rimasti vittime del Covid. Non a caso la campagna vaccinale, dopo gli operatori sanitari che sono in trincea, ha puntato prioritariamente sugli over 80, tre quarti dei quali però, a oggi, non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose.

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